lunedì 7 dicembre 2015

È DIFFICILE DIRTI CIÒ CHE PROVO...alessitimia, analfabetismo emozionale.


“E’ difficile dirti ciò che provo”: alessitimia, l’analfabetismo emozionale fra normalità e patologia
Posted on18/11/2015AuthorantrodichironeLeave a comment

tu chiamale SE PUOI emozioni.docx(sola lettura)

“Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi”

(Machbeth, atto IV, scena III. Shakespeare)

“ E’ difficile dirti ciò che provo” : quante volte, parlando con un amico o con il proprio ragazzo/a, abbiamo pronunciato questa frase e soprattutto, abbiamo avuto difficoltà a dire alle persone care quello che proviamo per loro. Dare un nome alle emozioni, esprimere il proprio stato d’animo, sembra un processo così naturale e spontaneo che è faticoso credere che per alcuni sia complicato metterlo in atto.

Eppure a volte, risulta faticoso esprimere a parole quello che si prova. Quest’incapacità può essere associata alla paura o alla mancanza di coraggio, altre volte può rappresentare una manifestazione di un fenomeno originato dalla personalità che impedisce l’uomo di verbalizzare il proprio vissuto emotivo. In questo caso, stiamo parlando di persone che soffrono di alessitimia.

Alcune persone sono incapaci di riconoscere le emozioni, infatti il termine Alessitimia (dal greco a: mancanza; lèxis: parola; thimos: emozione) significa “mancanza di parole per le emozioni”, una sorta di “analfabetismo emozionale, una difficoltà non solo nel riconoscere le emozioni, ma anche quella di esplorare e di esprimerle.

Il costrutto dell’alessitimia si basa su osservazioni cliniche condotte all’inizio su pazienti che soffrivano di disturbi classificati come psicosomatici. Nelle malattie psicosomatiche, l’ansia, la sofferenza, le emozioni troppo dolorose per poter essere vissute e sentite, trovano una via di uscita attraverso il corpo.

Il concetto di alessitimia fu però coniato da Sifneos per indicare un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo dei pazienti psicosomatici, confermando la difficoltà di quest’ultimi di esprimere i propri sentimenti soggettivi e aventi uno stile comunicativo caratterizzato da un’attenta attenzione per gli eventi esterni e da un’assenza o forte riduzione di fantasie legate alle pulsioni.

Ci sono alcune caratteristiche considerate peculiari per l’alessitimia:

Difficoltà di identificare i sentimenti e distinguerli dalle sensazioni somatiche;
Difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone;
Processi immaginativi limitati;
Stile cognitivo orientato esternamente.
I soggetti alessitimici mostrano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi, ma nella maggior parte dei casi non ne hanno consapevolezza. Possono mostrare uno scoppio improvviso di emozioni intense come ad esempio la rabbia, ma non collegano questa emozione ad un episodio specifico o ricordo.

Il soggetto è confuso riguardo le proprie emozioni, specialmente quelle riconosciute come ansia, tristezza e rabbia. A questo si associa la tendenza a manifestare somaticamente emozioni e a minimizzarne le componenti affettive. Il soggetto con alessitimia esprime quindi le proprie emozioni attraverso la componente fisiologica poiché incapace di elaborarne l’aspetto soggettivo vissuto. In un colloquio con un soggetto alessitimico può accadere che questi racconti in maniera estremamente dettagliata un evento e le circostanze connesse, ad esempio la lite con la propria partner e rimanere meravigliato se qualcuno gli fa notare che probabilmente ciò che ha provato in quella specifica situazione è rabbia. Questo sempre perché l’alessitimico ha la tendenza a riferire modificazioni somatiche senza comprendere che l’esperienza della rabbia comprende in sé tutte le sensazioni provate quali tremori o tensione muscolare.

La povertà di immaginazione e delle funzioni ad essa connesse è osservabile nell’attività onirica. Noi tutti siamo abituati a sognare e siamo consapevoli del carico emotivo che i sogni possono avere. I soggetti alessitimici invece, anche in queste situazioni sembrano incapaci di ricordare i sogni o la vita onirica banale. L’attività onirica, laddove presente, ha contenuti mentali fortemente arcaici (come ad esempio scene di violenza o perversioni sessuali) oppure è caratterizzata dalla ripetizione piuttosto stereotipata di avvenimenti diurni ed eventi della vita lavorativa. Stessa cosa per i sogni ad occhi aperti, che sono poveri sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo ed incentrati sulle stesse tematiche.

Gli alessitimici, inoltre, sono maggiormente concentrati su ciò che accade all’esterno. Essi descrivono le proprie esperienze o i vissuti emozionali senza alcun investimento affettivo, come se fossero spettatori più che attori della propria vita. Si focalizzano sugli dettagli, ma senza dare la sensazione a chi li osserva, di parteciparvi emotivamente. Inoltre, essi mostrano una scarsa capacità di sintonizzarsi con le emozioni altrui, mostrando difficoltà a formare e conservare nel tempo relazioni interpersonali intime ( Krystal, 1979).

Tra le possibili ipotesi correlate con lo sviluppo della patologia riveste un ruolo centrale lo stile di attaccamento, in particolare quello insicuro- evitante elaborato da Bowlby. Nel racconto delle storie affettive di persone alessitimiche emerge una ridotta disponibilità affettiva da parte delle figure di accudimento, molto spesso con la presenza di madri depresse o con disturbi di personalità.

L’ Alessitimia potrebbe considerarsi come una difesa contro un dolore psichico o un blocco della sfera affettiva causata da un trauma infantile. Diversi studi hanno dimostrato che i bambini separati dai genitori, anche per brevi periodi, tendono ad ammalarsi più facilmente e presentano difficoltà a regolare le proprie emozioni.

Questo disturbo può inoltre, svilupparsi in seguito a un grave trauma – tratti alessitimici sono stati descritti nei veterani di guerra o in soggetti che hanno subito maltrattamenti o abusi di natura sessuale – o a malattie che portano ad uno stato di pericolo di vita come cancro o trapianto.

In soggetti con condotte dipendenti, come i bevitori abituali o chi abusa si sostanze stupefacenti, si possono riscontrare alcune caratteristiche correlate con l’alessitimia. Sorge spontaneo chiedersi perché questo avviene. La motivazione può essere ritrovata nel fatto che il soggetto alessitimico, cerca di compensare la scarsa quantità e qualità delle emozioni attraverso esperienze che possono alterare lo stato di coscienza, utilizzate come una sorta di condotte compensatorie, la cui assenza porta alla formazione di somatizzazioni in alcuni casi anche gravi. Ciò viene espresso anche nella teoria sulla genesi dell’alessitimia elaborata da Grotstein (1997) il quale afferma : “ di fronte al pericolo di essere sommerso da una valanga di affettività incontrollata il soggetto organizzerebbe delle difese molto generali e massicce nei confronti dell’affettività’ “

Quali sono le conseguenze, nella vita quotidiana, dell’alessitimia?

Le persone che fanno parte della vita di chi soffre di alessitimia e con la quale hanno una relazione affettiva rivestono un ruolo importante nella vita del soggetto. Su queste ricadono le maggiori conseguenze del disturbo.

Gli alessitimici tendono a non riconoscere i sentimenti degli altri, nonostante affermino il contrario. Questo può causare non solo sofferenza ma anche continui inseguimenti sentimentali da parte delle persone che li circondano. All’inizio di una relazione chi soffre di questo disturbo, è capace di dare attenzioni amorevoli, ma allo stesso tempo improvvise e immotivate sparizioni.

Una comunicazione poco efficace è uno degli aspetti più significativo del disturbo ed è quella che crea più conflitti all’interno della famiglia.

Se pensiamo ad esempio ad una relazione di coppia, l’assenza di uno scambio emotivo e la mancanza di condivisione può trasformarsi in un problema deleterio per la coppia. L’alessitimico tenderà a farsi carico di tutti i problemi esterni alla coppia e non riuscirà a percepire i conflitti interni, né a cogliere il peso dei segnali emotivi.

Di conseguenza il partner, percepisce questo comportamento con un mancato interesse attribuendo stati d’animo spesso lontani dalla realtà.

I rapporti relazionali con i soggetti con questo tipo di disturbo sono generalmente scarsi ed oscillano tra una forte dipendenza verso qualcuno a cui si rivolge e si fa affidamento, ad una forma di isolamento ricercato e voluto con cui la persona decide deliberatamente di evitare qualsiasi contatto e condivisione con il prossimo, preferendo l’isolamento emotivo.

In conclusione, va specificato un punto importante del costrutto dell’alessitimia. Le persone con questo disturbo provano le nostre stesse emozioni, ma non sono coscienti di questa emotività. L’alessitimico vive l’emozione solo per via somatica, percependo quindi solo gli effetti fisici come ad esempio il batticuore o il nodo alla gola, senza però sapere come individuarne il significato. Come afferma LeDoux (1996), «Sono gli stati del cervello e le risposte del corpo i fatti fondamentali di un’emozione. I sentimenti coscienti sono solo decorazioni, la ciliegina sulla torta emotiva». La persona non inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole; in altri termini: non riesce ad esprimere.

Quindi non possiamo parlare di persone “senza cuore” o “fredde”, e quindi meno emotive, ma semplicemente di persone “non consapevoli”.

domenica 6 dicembre 2015

L'albero degli amici


“Nelle nostre vite esistono persone che ci rendono felici per la semplice casualità di averle incrociate nel nostro cammino. Alcune percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, altre le vediamo appena tra un passo e l’altro. Chiamiamo tutti amici e ce ne sono di diversi tipi.

Forse ogni foglia di un albero rappresenta uno dei nostri amici. Il primo che nasce da un germoglio è il nostro amico papà e la nostra amica mamma che ci mostrano come è la vita. Poi vengono gli amici fratelli, con i quali dividiamo il nostro spazio perché possano fiorire come noi.

Passiamo a conoscere tutta la famiglia di foglie che rispettiamo e alle quali auguriamo ogni bene. Ma il destino ci presenta altri amici, che non sapevamo di incontrare nel nostro cammino. Molti di loro li chiamiamo amici dell’anima, del cuore. Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno ciò che ci rende felici.

E a volte uno di quegli amici dell’anima si installa nel nostro cuore e allora viene chiamato innamorato. Questo amico dà luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra, salti ai nostri piedi. Ma ci sono anche gli amici del momento, di una vacanza, di alcuni giorni o di alcune ore.

Sono soliti collocare molti sorrisi sul nostro volto, per tutto il tempo in cui siamo vicini.

Parliamo di quelli vicino, non possiamo dimenticare gli amici lontani, quelli che sono nella punta dei rami e quando soffia il vento, appaiono sempre tra una foglia e l’altra.

Il tempo passa, l’estate se ne va, l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono un’altra estate e altre resteranno per molte stagioni. Però ciò che ci rende più felici è che quelle che sono cadute continuano ad essere vicine, aumentano la nostra radice con allegria. Sono ricordi meravigliosi di quando le incontrammo nel nostro cammino.

Ti auguro foglia del mio albero, pace, amore, salute, fortuna e prosperità. Oggi e sempre… Semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta via un po’ di noi.

Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non ha lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso.”

L’albero degli amici di Jorge Luis Borges

martedì 1 dicembre 2015

Bioneuroemozione per risolvere alcuni problemi fisici come il mal di testa

Bioneuroemozione e mal di testa
Anche se può essere difficile da credere, le nostre emozioni hanno ripercussioni sul nostro stato fisico e possono manifestarsi come mal di testa o mal di schiena, dunque è importante risolvere i nostri problemi emotivi per evitare questi fastidiosi disturbi fisici.

È possibile che già abbiate sentito parlare del concetto di “bioneuroemozione”. Si riferisce al fatto che determinati fattori incoscienti della nostra vita possono determinare la comparsa di diversi dolori o problemi.

Nessuno può negare, ad esempio, che lo stress o l’ansia si riflettono sul nostro benessere fisico o che persone affette da gravi forme di depressione si ammalino perché il loro sistema immunitario si debilita e le rende più soggette a soffrire di determinati disturbi.

Ovviamente non stiamo assolutamente parlando di malattie gravi, in quel caso nemmeno la medicina tradizionale molto spesso è in grado di capire da cosa esse siano provocate.

La bioneuroemozione è un’interessante tendenza umanistica che sta acquisendo molta forza ogni giorno di più.

Si tratta di un modo di acquisire conoscenze e scoprire nuove tendenze per risolvere le patologie più comuni come, ad esempio, il mal di testa.

Bioneuroemozione: come influisce sulla nostra vita?

Prima di tutto, dobbiamo dire che la bioneuroemozione non cerca di curare, trattare o sostituirsi alle tecniche della medicina tradizionale. Ciò che questa corrente cerca di fare si può riassumere nei seguenti aspetti:

Riconoscere una problematica del nostro corpo fortemente connessa al nostro stato emotivo. Per esempio: i nostri problemi di coppia ci fanno sentire insicuri, ci sentiamo stanchi, senza voglia di fare niente, soffriamo di emicranee e dolori muscolari.

Si cerca di promuovere un nuovo cambiamento nelle nostre emozioni, nei nostri pensieri e nelle motivazioni non solo per conoscerci meglio, ma anche per propiziare nuovi approcci interni che ci permettano di cambiare atteggiamento nei confronti della vita di tutti i giorni per superare i problemi.
La bioneuroemozione vuole innanzitutto offrire una conoscenza più ampia ad ogni persona su com’è fatta e su come i propri pensieri e le proprie emozioni producano cambiamenti a livello cellulare, cerebrale, ecc.
Altro esempio: se stiamo stati educati ad essere freddi, in una famiglia in cui non ci riconoscevamo, in cui venivamo sempre rimproverati e non ci veniva offerto affetto, questi fattori si rifletteranno nel modo in cui è maturato il nostro cervello.

Lo stress, l’indifesa e la paura, determinano molti dei dolori che possiamo provare da grandi.

La relazione tra la bioneuroemozione e il mal di testa-mal-di-schiena

Tutti quanti sappiamo molto bene che il mal di testa può essere provocato da vari fattori, soprattutto di origine organica:

Soffrire di anemia.
Accumulare stanchezza.
Non aver dormito bene.
Non mangiare in modo adeguato.
Avere un fegato malato che non depura correttamente il nostro organismo.
Qualche malattia “silenziosa”.
Allergie alimentari.
Fattori ambientali, come cambiamenti di pressione o temperatura.
Dolore prodotto da un sovraccarico muscolare, dalle cervicali, ecc.
Volete saperne di più? Leggete: Possiamo disintossicarci dalle nostre emozioni?

Tutti questi fattori determinano molte volte quel mal di testa che cerchiamo di alleviare con un analgesico o con altri tipi di farmaci. Ebbene: che succede quando questi disturbi persistono e vanno e vengono senza che ne comprendiamo bene il motivo?

Certamente avrete notato che, a volte, dopo essere usciti dal lavoro ed essere tornati a casa, dopo un po’ di tempo compare il mal di testa o più probabilmente, dopo aver discusso con qualcuno, notate che un dolore pulsante si concentra sulle vostre tempie.

Un dato che dobbiamo tenere in considerazione è che il mal di testa relazionato alle nostre emozioni non compare nello stesso momento in cui sorge il problema, ovvero nel momento stesso in cui avviene la discussione, ci spaventiamo o subiamo una delusione.

Compare qualche ora dopo o anche qualche giorno dopo. Molti medici indicano persino che i mal di testa sono più frequenti durante il fine settimana.

A cosa si deve ciò?

Quando affrontiamo un determinato problema, la cosa migliore da fare sarebbe risolvere o gestire le emozioni il prima possibile. Tuttavia, ciò che di solito facciamo  è “sconnettere”, non affrontare la situazione e rimandare il problema aspettando che, con il passare del tempo, le cose cambino da sole.
Quando abbiamo problemi di coppia, di solito soffriamo di uno stress cumulativo, perché si mescolano molte emozioni.

Scoprite gli effetti di emozioni e pensieri tristi sul nostro corpo

Vogliamo che le cose migliorino, speriamo di ritornare felici come prima, ma, poco a poco, tutte queste ansie si accumulano nella nostra mente e, di conseguenza, nel nostro corpo.
Queste emozioni negative accumulate si traducono dopo poco tempo in dolore, tensione interna e stress che quasi sempre genera mal di testa.
Le emozioni possono generare cambiamenti metabolici, ed essi derivano da alterazioni nelle nostre cellule, nei neurotrasmettitori, nei nostri tessuti e, di conseguenza, anche nella nostra circolazione sanguigna e nei nostri organi.
Non avete mai notato, ad esempio, che quando avete qualche problema digerite con maggiore difficoltà?

Se volete sapere come sta oggi il vostro corpo, pensate a come siete stati ieri. Se eravate molto ansiosi, se avete subito stress, paure o se vi siete sentiti insicuri, il vostro organismo ne risentirà e il mal di testa potrebbe essere il primo indizio.

Per concludere, ricordate che mantenere una corretta alimentazione e uno stile di vita sano è fondamentale per godere di ottima salute.

Ebbene prendetevi sempre cura delle vostre emozioni e ricordate cosa ci dice la bioneuroemozione: ogni problema non risolto, ogni tipo di ansia, produce cambiamenti biochimici che determineranno problemi di salute.

Prendetevi cura della vostra coscienza, delle vostre emozioni, del vostro benessere interno affinché possiate disporre di una salute più stabile..per sentirsi al meglio delle vostre possibilità.

Dott.ssa Daniela Tofi www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

venerdì 27 novembre 2015

L'Ombra - una tipica storia di ombra e di come essa si potrebbe manifestare.

"Il signor B., padre di famiglia sempre gentile e premuroso, mai resosi colpevole di alcunché,  ha abituato tutti al suo anteporre gli interessi familiari ai suoi. Noto per l'assoluta disponibilità  nei confronti di parenti e amici, vicini, non di rado viene considerato un modello.
Tutti sono pieni di lodi per lui.Egli rappresenta il perfetto emblema del padre esemplare che si sacrifica per la famiglia, gli amici e i colleghi. Qualora gli si chieda un favore, si potrà  esser certi che vi adempira'.
Nel caso in cui si abbia bisogno di aiuto egli sarà  sempre presente. Tuttavia un giorno - e per ognuno  in modo inaspettato - egli esce completamente dal suo ruolo.
Per un breve momento, diventa qualcuno finora sconosciuto: un criminale che conficcato un coltello da pane nel ventre della propria  moglie, inseguendo anche il figlio con l'intento di ucciderlo.
Lo spettro scompare così  inaspettatamente  come aveva fatto irruzione.
Orbene il Sig.  B. sprofonda in sé  e ridotto ad uno straccio, si lascia arrestare dalla polizia senza alcuna resistenza.
Una giornalista, sforzandosi invano di spiegare a parole l'inspiegabile, lo "descrivera'" comunque un uomo finito.
Un minuto di dominio dell'ombra ha annientato decenni di vita borghese ben delineata.
Da un momento all'altro il padre buono è  diventato per tutti il cattivo uomo - ombra.
A ben ragione il nostro mondo dimentica assai rapidamente  tali uomini - ombra,  li bandisce il più  velocemente possibile dalla normale quotidianità  e li rinchiude in prigione o in istituti inaccessibili.

...Quando l'ombra viene repressa molto a lungo e con sistematica persistenza, essa può  agire in maniera completamente  estraneità,  come se non appartenesse alla persona corrispondente"

Tratto dal libro "Ombra apri la tua porta al lato oscuro della tua anima" , di R. Dahlke

lunedì 23 novembre 2015

LA FELICITÀ

La felicità  consiste nel provare. .godere. .sentire..quello che ha di bello la vita in serbo per noi.
Si tratta di un'abilità  individuale e non di un'eventualita' del destino. Tutti possono essere felici se imparano a capire come si fa ad esserlo. Infatti, per vivere una vita felice è  necessario essere capaci di godere di ciò  che già  si ha..senza comunque  rinunciare ad avere obiettivi di crescita e miglioramento.
La felicità  non va ricercata nel futuro, ma nel presente, perché  non dobbiamo dimenticare che il nostro attuale presente è  il futuro che immagine amo per noi qualche tempo fa. Molti dei nostri desideri sono stati realizzati, ambiziosi traguardi sono stati raggiunti.
Ma siamo per questo felici ora? La risposta...sono sicura è  no.

Ognuno di noi ha qualcosa che ancora gli manca per essere felice: il matrimonio, un lavoro, la carriera, la casa, la laurea...
L'evasione dal presente, l'incapacità  di prendere decisioni, la tendenza alla procastinazione determinano l'idealizzazione del proprio  futuro, che intanto diventa presente e la storia continua. La felicità,  sempre rimandata a domani, continua a sfuggire alla nostra esistenza, nell'illusione che qualche forza magica, soprannaturale o anche proveniente da qualche misteriosa area del proprio Sé possa finalmente risvegliarsi e risolvere per incanto tutti i problemi.
A volte l'infelicita' deriva dalla sensazione di non avere o non avere abbastanza, di ciò  che è  necessario per vivere bene.

Molto spesso si tratta di bisogni indotti dall'ambiente sociale in cui viviamo, dalla società ed in particolare da quei persuasoi occulti che, con logiche sottili ed ingannevoli, cercano di condizionare nelle scelte e soprattutto  nei consumi.

La felicità è  nel presente..non conta quanto abbiamo, ma quanto riusciamo a godere di quello che possediamo.

Dott.ssa  Daniela Tofi www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

venerdì 20 novembre 2015

Sogno o realtà?

Sto passeggiando lungo una strada solitaria. Mi godo l'aria, il sole, il canto degli uccelli
E il piacere di lasciarmi condurre dai miei piedi
Dove vogliono loro.
Sul ciglio della strada
Incontro uno schiavo addormentato.
Mi avvicinò e scopro che sta sognando.
Dalle sue parole e dai suoi gesti indovino...
So che cosa sogna:
Lo schiavo sta sognando di essere libero.
L'espressione  del suo volto riflette pace e serenità.
Mi domando..
Debbo svegliarsi e dimostrarlo che è  soltanto un sogno
Così  che sappia di essere sempre uno schiavo?
Oppure debbo lasciarlo dormire più  a lungo possibile,
Così  che possa godere, anche se soltanto in sogno, della realtà  fantastica?

martedì 17 novembre 2015

Autostima: SONO FIERO/A DI ME STESSO/A

Sono fiero di me stesso..

Non dimenticare che TU sei il tuo migliore amico e il tuo primo critico.

A  prescindere dalle opinioni degli altri, il volto che devi saper guardare allo specchio con orgoglio alla fine della giornata è  il tuo.

Ciò  che pensi di te stesso è  cruciale per il tuo benessere a lungo termine.
Cerca sempre di fare in modo che le tue azioni possono renderti orgoglioso di te stesso.

Fai in modo che i tuoi comportamenti  riflettono i tuoi pensieri e i tuoi valori, non quelli degli altri.

Ciò  accrescera' in un circolo vizioso la tua autostima e ti fornirà  la carica necessaria per affrontare  con entusiasmo, serenità  e determinazione  le sfide che la vita ti porrà  davanti.

Cerca sempre di avere bene in mente la persona che vuoi diventare e agisci di conseguenza.
Essere fiero di te stesso non significa comportarti in maniera arrogante o ritenersi perfetto.

Significa riconoscere che hai delle qualità come individuo che ti rendono meritevole di affetto e amore.

dott.ssa. Daniela Tofi
www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

lunedì 16 novembre 2015

IL TUTTO: nell'unità tutto e nulla diventano una cosa sola

Nell'unità tutto e nulla diventano una cosa sola.
Quando l'uomo dice io, secondo l'eminente psicologo e psicoterapeuta di impostazione esoterica, Thorwald Dethlefsen, si isola subito da tutto ciò che sente come non-io, come tu, divenendo così prigioniero della polarità.
L'Io ci lega al mondo degli opposti, che si manifesta non solo nell'io e nel tu, ma anche in ciò che è interno ed esterno, uomo e donna, buono e cattivo, giusto e sbagliato.
Ciò ci impedisce di percepire nelle forme unità e completezza.
L'Ego dell' uomo vuole sempre avere qualcosa che è al di fuori di lui, mentre dovrebbe semplicemente perdersi per poter essere una cosa sola col tutto (Malattia e destino, il valore e il messaggio della malattia, Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke).
Un uomo fa parte dell'umanità e consiste lui stesso di organi, che sono parte di lui e al tempo stesso consistono di molte cellule che, a loro volta,  rappresentano le parti dell'organo.
L'umanità si aspetta dal singolo uomo che si comporti in modo tale da essere utile all'evoluzione e alla sopravvivenza dell'umanità. L'uomo si aspetta dai suoi organi che funzionino in modo tale da consentirgli la sopravvivenza. L'organo si aspetta dalle proprie cellule che facciano il loro dovere come è indispensabile per la sopravvivenza dell'organo.
In questa gerarchia, che potrebbe essere prolungata da entrambi i lati, ogni struttura conplessa (umanità, stato, organo) fa in modo che, possibilmente, tutte le parti siano subordinate all'idea comune e la servano.
La nostra epoca è caratterizzata da irriguardosa espansione e realizzazione dei propri interessi.
Nella vita sociale così come in quella privata ognuno cerca di dilatare oltre ogni limite i propri fini e i propri interessi senza riguardo per nessuno, cercando di creare ovunque basi per i propri tornaconti, mettendo tutti al servizio del proprio personale vantaggio.
L'errore di pensiero e di azione sta nel credere in questa polarità: "io o la comunità, la parte o il tutto".
Il Sé non è se stessi ma il centro che si trova ovunque, comprende tutto ciò che è (la natura di Dio è un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte, Empedocle).
Solo se impariamo a mettere poco per volta in discussione la fissità del nostro io e i nostri confini , solo se impariamo ad aprirci, cominciamo a vivere una parte del Tutto e anche ad assumerci la respondabilità del Tutto.
Capiamo allora che il bene del Tutto e il nostro bene sono la stessa cosa, poichè noi, in quanto parte, siamo una cosa sola col Tutto.
La psiche non è dentro di noi, noi siamo dentro la psiche così secondo James Hilmann, psicologo analista junghano.
La depressione, tanto diffusa in epoca contemporanea, può allora dipendere dalla percezione profonda della distruzione che noi abbiamo portato al mondo. Noi la sentiamo e pensiamo nel nostro cervello, nella nostra famiglia, nel nostro matrimonio, nel nostro lavoro, nella nostra economia; portiamo la depressione dentro un me, invece, se c’è un’anima mundi, se c’è un anima del mondo, e noi facciamo parte dell’anima del mondo, allora ciò che accade nell’anima esterna accade anche a me.
Se io avverto l’estinzione delle piante, degli animali, delle culture, dei linguaggi, dei costumi, dei mestieri, delle storie ...  la mia anima prova un sentimento di perdita, di solitudine, di isolamento, di lutto, di nostalgia, di tristezza che è il riflesso in me di una condizione di fatto.  Se non mi sento depresso allora sì che sono pazzo: questa è la vera malattia, essere completamente escluso dalla realtà di ciò che sta succedendo nel mondo.
Per concludere, affidiamoci al pensiero del grande Jung:
"oggi si vuol sentire parlare di grandi programmi economici  e politici ossia proprio di quelle cose che hanno condotto i popoli a impantanarsi nella situazione attuale […]; ma io non parlo alle nazioni, io mi rivolgo solo a pochi uomini; se le cose grandi vanno male è solo perché i singoli individui vanno male, perché io stesso vado male; perciò per essere ragionevole l’uomo dovrà cominciare con l’esaminare se stesso [...] è fin troppo chiaro che se il singolo non è realmente rinnovato nello spirito neppure la società può rinnovarsi, poiché essa consiste nella somma degli individui".

d.tofi

domenica 15 novembre 2015

Come i terroristi usano i media per i loro scopi

Ricerche dimostrano come gli sviluppi dell’Information Technology hanno rivoluzionato il concetto di guerra, di difesa e di sicurezza. I nuovi attentatori si sono dimostrati estremamente evoluti nel loro utilizzo di tecnologie avanzate, tra cui il cosiddetto Web 2.0, il sito internet di navigazione che permette maggiore interattività ed è utile per la pianificazione di attentati che nelle loro azioni di propaganda, arruolamento e supporto logistico. Si parla, secondo gli esperti, di Information Warfare, di Cyber Terrorismo e di NetWar. Le grandi qualità di Internet, tra cui facilità di accesso, mancanza di regolamentazioni, ampio pubblico potenziale, grande flusso di informazione, lo rendono uno strumento di lavoro ottimale per i gruppi che utilizzano il terrorismo per raggiungere i propri obiettivi. E’ evidente che in questa battaglia globale contro la violenza politica dobbiamo capire meglio come questi usano internet e migliorare la nostra capacità di monitorarne le attività.

Internet rappresenta l’incarnazione dei valori democratici della libertà di parola e di libera ed aperta comunicazione delle idee come mai si era avuto prima. Si potrebbe partire dallo scenario della Netwar: dopo l’attentato dell’11 Settembre il mondo dell’Intelligence è cambiato, avvertendo l’ esigenza di una diversa intelligence: dispersa, non concentrata, aperta a numerose fonti ecc… ; i nuovi terroristi sono tipicamente organizzati in piccole unità sparse nel mondo e coordinano le loro attività online, ovviando così alla necessità di un comando centrale. Il fenomeno della Netwar è una forma di conflitto segnato dall’ utilizzo di organizzazioni a rete e relative dottrine, strategie, tecnologie (Ronfeldt & Arquilla,1996). Sono cresciute le comunità virtuali ed a causa di questo è cresciuto l’interesse verso la capacità dell’analisi delle comunicazioni scambiate in queste comunità (Fabris & Zanasi, 2003). La struttura di Internet permette alle attività criminose di crescere e a chi le effettua di rimanere anonimo.

Il fenomeno connesso alla diffusione del materiale via web è la radicalizzazione, cioè il processo di adozione di un sistema di credenze estremiste comprendenti la decisione di utilizzare, supportare o facilitare la violenza come metodo per cambiare la società. La radicalizzazione è divenuta la linfa vitale dei movimenti salafiti, estremisti e globalizzati, allo scopo di arruolare nuove reclute per i gruppi estremisti e creare il giusto ambiente in cui nuovi gruppi possono crescere e prosperare.

Nello specifico ci si potrebbe calare nell’ analisi di come i terroristi usano internet; sarebbe stato identificato un nuovo campo di battaglia chiamato Cyberspace e si tratterebbe di una guerra ideologica. La capacità di utilizzarlo ha messo in grado le reti dei terroristi di estendere la loro capacità di azione oltre i confini nazionali, permettendogli così di diffondere il proprio messaggio ad un pubblico assai ampio. Le chat rooms di Internet stanno ora rimpiazzando le moschee, i centri comunitari ed i bar come luoghi di arruolamento e radicalizzazione da parte di gruppi terroristici come Al Qaeda. L’ Intelligence governativa deve essere pronta a raccogliere e potenziare le proprie competenze in veri e propri Internet Centers, “corpi d’ armata” di queste nuove guerre. I blogs, ad esempio, sono diventati uno dei tipi di comunicazione a crescita più repentina tra quelli usati sul Web; i bloggers possono esprimere le loro opinioni con grande libertà e facilità.

I terroristi una volta usavano Internet principalmente per supportare le loro operazioni. Poi hanno cominciato ad usare il Web per un altro motivo: diffondere le ideologie più velocemente, largamente, efficacemente di quello che è stato mai reso possibile prima.

Per sua natura Internet permette la formazione di gruppi e relazioni che altrimenti non sarebbero possibili aumentando e potenziando la possibilità di connessione sociale. La “killer application” di Internet non è tanto il suo utilizzo come strumento di diffusione bensì quello di un canale di comunicazione che lega persone nel cyberspazio, dove possono incontrarsi ed agire insieme.

Nella pianificazione degli attacchi terroristici i membri del gruppo si tramandano messaggi attraverso una sezione protetta da password; poi il messaggio viene preparato e salvato come draft, così che chiunque può accedere all’ indirizzo mail; inoltre vengono proposti manuali di addestramento e poi avvengono comunicazioni telefoniche su Internet.


Come sappiamo Al Qaeda (significa la base) è l’organizzazione che ha saputo utilizzare al meglio i Media soprattutto elettronici: dalla televisione a internet.

Il terrorismo ha capito bene il principio che il messaggio è nell’ atto in sé, nella paura che esso genera, veicolata da mezzi di comunicazione sempre più veloci e intrusivi. I fini terroristici legati all’ uso dei mass media sono: l’esigenza di glorificare la violenza, pianificando e compiendo atti terroristici; poi sopraggiunge la propaganda che loda sempre la violenza e la morte; il reclutamento online, la ricerca di finanziamenti e l’addestramento digitale (Paolo M., 2014).

Un altro sistema che agisce differentemente è quello di Al Qaeda che fa sì che decapitando una “cellula” non si mina la sicurezza delle altre dal momento che non c’è alcun legame gerarchico tra cellule, apparendo quindi la struttura come una “rete” e non come una piramide (Cesta,2011).

La strategia mediatica di questa, riferisce Cesta, è pensata per assolvere a varie funzioni e perciò si è dipanata attraverso vari canali: dichiarazioni inviate via fax, post su internet, registrazioni audio, produzione di articoli e interviste. Ogni prodotto mediatico è rivolto a target specifici.

Il “calendario” delle esternazioni corrisponde ai principali eventi internazionali ed è volto a fare propaganda, far salire la tensione, dimostrare anche che il network o un leader dell’organizzazione è in vita, aumentare sostenitori o lanciare attacchi. Per sensibilizzare le masse riguardo alla loro causa, per guadagnare il sostegno dei simpatizzanti e per generare paura i terroristi necessitano di pubblicità.

Dopo la perdita di un rifugio sicuro in Afghanistan, Al Qaeda come rete è stata spezzettata in più piccole e sfuggenti fazioni (micro-attori). Essa ha poi avuto una drastica diminuzione nella capacità comunicativa. I mass media allora sono divenuti componente cruciale nelle operazioni strategiche, tanto da farla divenire poi “Al Qaeda 2.0”.

isis maglietteE’ facile notare come dichiarazioni audio, video comunicati stampa e telegiornali in streaming sono creati presso la propria azienda di produzione in-house conosciuta come As-Sahab.

Quello che più interessa agli studiosi nel settore sono gli operatori che producono e postano materiale in Rete, ovvero i gruppi armati affiliati, e il mezzo tramite cui pubblicano questo materiale, utilizzando un Media Production and Distribution Entity (MPDE), cioè un’entità preposta a rendere pubblici questi materiali. Esse con le loro attività massimizzano le sinergie e gli sforzi dei gruppi che contribuiscono al media stesso; poi creano un link implicito che è garanzia di autenticità del materiale, come una “genuinità” conferita alla notizia rilasciata solo per il fatto che avvenga per mezzo di un MPDE specifico, conosciuto e affidabile.

I terroristi usano questi mezzi allo scopo primario di attirare l’attenzione e generare paura: infatti, per massimizzare l’ effetto, gli attentatori spesso hanno scelto di eseguire attacchi in aree ad alta densità di presenza di Media e possibilità di visibilità. Essi di norma “hackerano” i server di rete per inviare messaggi irrintracciabili, manuali di istruzioni e materiali vari. Quando i terroristi vengono individuati e il server viene chiuso, ne hackerano un altro. Oltre ai blog e alle chat vi è il forum, che principalmente viene usato ad esempio per trattare una serie di argomenti poi accompagnati da interventi diretti degli utenti.

Alcuni forum sono così visitati ed attendibili che assumono quasi una veste ufficiale. I jihadisti stanno usando internet e il web per ispirare a creare una tribù virtuale globale degli islamici radicali, una umma online, con segmenti di affinità in tutto il globo.

Anche i siti di social networking presenti in tutto il Medio Oriente sono utili loro perché permettono la connessione tra gruppi di persone con interessi comuni. Internet è usato per l’80% come strumento di ricerca delle informazioni pre- attacco, compresi schemi nucleari, mappe ferroviarie, reti idriche, orari di volo dell’ aereoporto ecc…ecc… Cosa eclatante, sottolinea lo stesso Cesta, sarebbe che questi hanno istituito una rete di formazione a distanza attraverso un’università aperta per il Jihad, caricando sul server video di formazione, manuali, materiali strategici, CD-rom con spiegazioni di armi, tecniche di combattimento corpo a corpo, fabbricazione di bombe e tattiche di assalto. Sono diffusi molti quotidiani online scaricabili in PDF e redatti in lingua inglese.

In generale, secondo lui, la potenza del network mediatico e del suo sapiente utilizzo è proprio quella di poter immettere regolarmente comunicati, informazioni, dichiarazioni e video in modalità del tutto anonima e volatile. Così si può parlare oggi di “terrorismo olografico” nel momento in cui anche la figura dello sceicco viene de materializzata come un ologramma, rimanendo immutata per anni (si pensi solo a Bin Laden, immagine e paradigma da seguire e venerare da chiunque voglia seguire la sua missione) (Cesta, 2011).

D.tofi

domenica 8 novembre 2015

La felicità? Può essere una scelta.

Essere ottimisti, avere degli obiettivi, stare più tempo con le persone care, aiutare il prossimo, saper superare i momenti difficili e fare anche un po’ di sport.

In una ricerca precedente avevamo già dato la parola alla… Dottoressa Sonja Lyubomirsky, esperta di felicità e autrice di due best seller: “The How of Happiness” e “The Myths of Happiness” in cui tratta alcune ricerche psicologiche sulla felicità.

Nel libro “The How of Happiness” viene evidenziato come il 40% della felicità sia dovuto a delle attività intenzionali e non a dei fatti casuali; questo significa che possiamo aumentare la nostra felicità semplicemente organizzando meglio le nostre giornate attraverso alcuni comportamenti come i seguenti:

1) L’ottimismo è il profumo della vita (cit. Tonino Guerra) ma anche la gratitudine e la consapevolezza hanno un gran bel profumo

La Dottoressa Lyubomirsky afferma che: “Le persone che godono delle piccole cose della vita e che sono ottimiste sono anche quelle che riescono a vivere in maniera piena ed intensa al contrario di coloro che invece rimuginano sul passato e sono più stressati. Quindi più una persona sarà grata alla propria vita meno sarà stressata e ansiosa.”

La ricercatrice dell’Università di Harvard, Dottoressa Francesca Gino, nel suo libro “Sidetracked” sostiene che essere consapevoli di quello che succede intorno a noi ci fa godere appieno la nostra vita rendendoci quindi più felici.

2) Avere degli obiettivi

Lo psicologo Jon Freeman dell’Università di New York, grazie ad una serie di studi, è arrivato alla conclusione che le persone che rincorrono degli obiettivi sono spesso quelle più felici. Una conferma di ciò viene anche dallo psicologo Richard Davidson che ha scoperto che chi ha degli obiettivi è in grado di attivare pensieri positivi che eliminano emozioni negative come la paura e la depressione.

3) Passare più tempo con amici e familiari

In una ricerca del 1996 due ricercatori, Murray e Peacock, hanno scoperto che il 70% della felicità di ciascuno di noi dipende dalla vicinanza affettiva di persone care (amici, compagni, familiari). I due ricercatori sostengono che più relazioni profonde si hanno più si è felici.

Una ricerca sulle religioni del 2010, condotta dai ricercatori Chaeyoon Lim e Robert Putnam, non entrando nello specifico della fede, afferma che i praticanti che frequentano chiese e comunità religiose sono più soddisfatti della loro vita e quindi più felici perché sono circondati da persone che la pensano come loro e che gli sono vicini affettivamente.

4) Aiutare il prossimo

In una ricerca precedente si era già dimostrato quanto il volontariato fosse in grado di rendere le persone che lo praticano più felici e meno stressate; molti studiosi sostengono anche che basterebbe essere più disponibili e gentili con il nostro collega o vicino di casa per essere un po’ più sereni.

5) Quello che non mi uccide mi fortifica (cit. Friedrich Nietzsche) e mi rende anche più felice

Le persone più felici sono anche coloro che, nonostante abbiano avuto momenti difficili nella loro vita (come tutti d’altronde) , si sono rialzate in piedi più forti ed anche un po’ più felici di prima per esserne riusciti a venirne fuori.

La Dottoressa Lyubomirsky nel suo libro “The How of happiness” infatti riprende una ricerca: “…in uno studio alcuni ricercatori avevano intervistato degli uomini tra i 30 e i 60 anni che avevano subito un attacco di cuore. Coloro che, dopo sette settimane dall’attacco di cuore, erano riusciti a trovare un aspetto positivo da quella brutta avventura – ad esempio che erano maturati come persone – erano anche gli stessi che, ricontattati dopo 8 anni, avevano avuto meno nuovi attacchi di cuore ed erano più felici. Al contrario chi si era lamentato ed era stressato aveva subito più nuovi attacchi di cuore.”

6) Fare dello sport ed esercizio fisico

Molte ricerche hanno dimostrato che chi pratica dello sport ha molti benefici tra cui l’essere meno stressato e depresso.

Lo psichiatra John J. Ratey, nel suo libro “Spark”, riprende alcune ricerche: “Una ricerca olandese del 2006, che aveva come campione 19.288 gemelli, aveva dimostrato che i gemelli che avevano fatto dello sport erano meno ansiosi, meno stressati e più socievoli dei gemelli che non avevano fatto alcun esercizio. Inoltre uno studio finlandese del 1999, che aveva analizzato 3.403 volontari, aveva dimostrato che coloro che si allenavano almeno due o tre volte alla settimana erano meno stressati e ansiosi di coloro che non si allenavano affatto.”

Buona mente e buon vademecum!!

dott.ssa Daniela Tofi
www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

venerdì 6 novembre 2015

INTELLIGENZA EMOTIVA? SAPER ALLENARE LE EMOZIONI

Saper alkenare le emozioni  è  garanzia di successo..più  del percorso scolastico o dei titoli di studio.
Ecco quali abitudini adottano le persone capaci di essere consapevoli dei loro sentimenti. Che sanno come esprimere, gestire, scandagliare e modificare le proprie esperienze, perché sono loro il "centro di controllo"della propria esistenza. Sono i veri leader, conducono una vita completa e autentica . Dovremmo prendere spunto dal loro esempio. Ecco le cose che le persone dotate di intelligenza emotiva NON fanno.

1. Non credono che il loro modo di percepire una situazione rispecchi la realtà.
Vedono le loro emozioni come delle "risposte" ad una data situazione, non come parametri esatti per valutare quello che sta accadendo loro. Accettanno il fatto che la loro reazione potrebbe avere a che fare più con i loro problemi personali, che con la situazione oggettiva in corso.

2. I loro punti di riferimento emotivi sono dentro di loro.
Non vivono le emozioni come se fosse un altro a provarle, come se il problema da risolvere fosse di qualcun altro. Capire che l'origine delle cose che sentono è in loro stessi, li tiene alla larga dal pericolo della passività. Non cadono nell'errore di pensare che "dove l'universo ha sbagliato, l'universo rimedierà".

3. Non presumono di sapere cosa li renderà davvero felici.
Dal momento che collochiamo tutti i nostri punti di riferimento nel passato, non abbiamo alcun mezzo per stabilire, adesso, cosa potrebbe renderci davvero felici invece di sentirci solo dei "sopravvisuti" alle esperienze più dolorose. Le persone dotate di intelligenza emotiva lo capiscono e si aprono ad ogni esperienza verso cui la vita le conduce, sapendo che ogni cosa cela un lato positivo ed uno negativo.

4. Non pensano che avere paura sia un errore.
Piuttosto, essere indifferenti significa avere intrapreso la strada sbagliata. La paura indica che stiamo cercando di raggiungere qualcosa che amiamo, ma che le nostre convinzioni e le ferite del passato ce lo impediscono (o forse sono lì proprio per essere curate, una volta per tutte).

5. Sanno che la felicità è una decisione, ma non sentono il bisogno di prenderla ogni volta.
Non si illudono che la "felicità" sia uno stato di grazia perenne. Si concendono il tempo per esaminare tutto quello che succede loro. Si concedono il lusso di vivere in una condizione di "normalità". In questo stato di "non resistenza", riescono a trovare appagamento.

6. Non lasciano che qualcun altro decida delle loro idee.
Capiscono che, subendo il condizionamento sociale, possono essere influenzate da mentalità, pensieri e idee che non appartengono a loro. Per opporsi a questo, scandagliano le loro convinzioni, riflettono sulla loro origine e stabiliscono se quel quadro di riferimento può fare al caso loro o meno.

7. Riconoscono che un autocontrollo infallibile non è un segnale d'intelligenza emotiva.
Non trattengono i sentimenti, non cercano di mitigarli al punto di farli sparire. Tuttavia, hanno la capacità di trattenere la loro risposta emotiva finché non si trovano in un ambiente più "appropriato", dove poter esprimere ciò che sentono. Non sopprimono l'emotività, la gestiscono.

8. Sanno che un sentimento non li ucciderà.
Hanno raggiunto la forza e la consapevolezza necessarie per sapere che tutte le cose, anche le peggiori, sono passeggere.

9. Non regalano la loro amicizia a chiunque.
Vedono la fiducia e l'intimità come qualcosa da costruire, qualcosa da non condividere con tutti. Non sono circospette o chiuse, ma preferiscono agire con consapevolezza e attenzione quando si tratta di fare entrare qualcuno nella loro vita e nel loro cuore. Sono gentili con tutti, ma si concendono a pochi.

10. Non credono che un singolo sentimento negativo possa dominare il resto della loro vita.
Evitano di arrivare a facili conclusioni, di proiettare un momento presente nel prossimo futuro, credendo che un periodo di negatività possa caratterizzare il resto della loro vita, invece di essere un'esperienza transitoria e isolata. Le persone emotivamente intelligenti accettano i "giorni no". Si permettono di essere umani. In questo modo, trovano la pace.

venerdì 30 ottobre 2015

Vampiri emozionali

Vi è mai successo di incontrare qualcuno e poi sentire un senso di spossatezza, un cambio repentino d’umore, pensieri negativi che assillano? Se vi è successo probabilmente vi siete imbattuti in un vampiro emozionale.
Il “vampiro emotivo”si nutre d voi e, passo dopo passo, tende con artifici anche sottili, a soggiogarvi fino ad annichilirvi per sopravvivere.

I vampiri sono ovunque, in ufficio, nei centri commerciali, in palestra, in casa. Possono essere chiunque, si possono nascondere sotto molte vesti e possono assumere i connotati di amici e parenti…..può essere il collega di lavoro, il capo, un amico, la moglie, il marito, la fidanzata.

I vampiri emozionali non sono sempre consapevoli del loro ruolo e spesso non sono nemmeno persone cattive.
Siamo di fronte a persone che invadono la nostra libertà senza porsi alcun limite e che sono convinte che tutto il resto dell’umanità sia stata creata per soddisfare i loro bisogni. Sembra una persona normale ma, lentamente, dopo essersi conquistata la vostra simpatia, inizierà a succhiare tutte le vostre energie emozionali.

Alcuni hanno bisogno della nostra energia e della nostra luce per sopravvivere, incapaci di farlo contando solo sulla propria. Insufficiente o negativa che sia. Altri, i più pericolosi, quell’energia e quella luce che emaniamo, desiderano solo smorzarla, fino a spegnerla.

Il Vampiro energetico inconsapevole

Il Vampiro energetico non deve avere per forza intenzioni maligne. Anzi, molti si trovano nella cerchia degli amici o in famiglia. Di solito sono persone molto fragili, spaventate, prive di qualunque autonomia emotiva, bisognose di costante attenzione, che vedono negli altri solo la stampella necessaria per fare il prossimo passo.
Al contrario, alcune sono persone talmente esuberanti da travolgere con la loro vitalità tutto ciò che le circonda, incuranti dell’effetto ciclone che possono avere sul prossimo.

 
Ci sono poi le persone prive di qualunque senso pratico, che navigano a vista, sempre alle prese con problemi complessi, su cui chiedono continuamente consigli che non seguiranno mai. Che dopo aver ingarbugliato fino all’inverosimile le situazioni, pretendono il tuo aiuto per uscirne. Sono convinti che tu sia sempre lì, pronto a intervenire per togliere loro le castagne dal fuoco. Persone che, più che un amico o un parente, ti vedono come un Pronto Soccorso emotivo e pratico, sempre aperto.

In realtà, è difficile ammettere che in famiglia o tra gli amici più stretti, si celi un Vampiro energetico pronto a dissanguarci. Per affetto o consuetudine, tendiamo a minimizzare le avvisaglie e a giustificare in ogni modo comportamenti atti a spremere ogni goccia della nostra energia vitale.

Il Vampiro energetico consapevole

Il Vampiro energetico consapevole, colpisce sapendo di colpire. E’ abbastanza riconoscibile e di solito ce lo troviamo intorno senza aver fatto molto per attirare la sua attenzione. Forse perché siamo stati noi ad aver attirare la sua. Sono persone che fanno di tutto per entrare a forza nella nostra vita, usando diverse chiavi d’accesso e sono abbastanza riconoscibili.

Alcuni chiedono continuamente conferma alle loro parole, nel tentativo di deviare le tue idee e far sì che avvalori le loro. Il vittimista, che usa le sue sciagure e sofferenze, per entrare nelle tue grazie e nutrirsi della tua energia per superarle.

Quello che ti sta costantemente addosso, che ti travolge con i suoi discorsi incurante delle tue opinioni; che vive aggrappato agli altri, per riuscire a galleggiare nel suo piccolo mare di solitudine.
Altri si celano dietro un apparente distacco, parlano molto poco di se stessi e fanno sì che la loro vita rimanga un arcano. Attaccano per lo più persone influenti o in posizioni di comando, da poter manipolare per i loro scopi e per appagare la loro sete di potere frustrata.

In sintesi, come si riconoscono?

Amano nascondere le loro battute offensive in un atteggiamento di falsa cordialità e amicizia
Criticano il comportamento degli altri e sono pronti a sfruttare le ingenuità degli altri per poterne trarre un vantaggio personale
Non rispettano nessuna regola e vedono le relazioni interpersonali come qualcosa da poter sfruttare a proprio vantaggio
Di solito hanno un atteggiamento amichevole che nasconde il loro vero intento che è quello di servirsi degli altri per ottenere dei benefici senza dare nulla in cambio
La loro strategia è quella di dare alle loro vittime l’illusione della loro disponibilità che non si concretizzerà mai
Quali altre strategie adottano?

Una strategia che viene adottata frequentemente dal vampiro è quella del ricatto emotivo che sfrutta facendo sorgere in noi dei forti sensi di colpa che lo aiuteranno a manipolarci con maggior facilità.

Un altra tattica è quella del vittimismo emotivo che mettono in atto impersonando il ruolo della vittima.

Ecco 17 tipologie di vampiri energetici che distruggono la felicità

Ne esistono davvero tanti e ciascuno ha origini ben precise, ma anche se ogni tipologia di Vampiro energetico segue un diverso modus operandi, lo scopo è comune a tutti. La loro sopravvivenza a discapito del tuo benessere.

Il problema è che i vampiri emozionali non solo ci provocano un disagio momentaneo, ma, a forza di rapportarci con loro giorno dopo giorno, ci causano grande stress e angoscia, non solo a livello emotivo, ma anche fisicamente. In realtà, non possiamo dimenticare che le emozioni sono contagiose e che gli stati emotivi negativi mantenuti nel tempo possono dare origine a numerose malattie. Quindi il primo passo per affrontare i vampiri emozionali è imparare a distinguerli. Per approfondimento leggi “Vampiri emozionali, come riconoscerli”

1 Adulatore
E’ abituato a riempire gli altri di complimenti falsi e di lodi non sincere.

2 invidioso
Si sente inferiore ed è costantemente invidioso delle doti o dei successi ottenuti da amici e parenti.

3 pettegolo
Attacca sempre bottone ed ama parlare dei fatti degli altri. Non gli sfugge nessun dettaglio che poi prontamente riporta a chiunque gli capiti a tiro.

4 autoritario
Impone la sua presenza facendo leva sulla sua presunta superiorità; non ammette che venga offuscata la sua autorità e si sente soddisfatto quando riesce a controllare qualcuno.

5 appiccicoso
Stabilisce dei legami stretti ed indissolubili con le persone che sceglie. E’ il suo modo per approfittare della loro linfa ed energia vitale.

6 controllore
Con l’astuzia si intromettono nella vita altrui riuscendo a controllarla e ad imporre la loro volontà. Per mantenere il controllo fanno ricorso al senso di colpa.

7 pessimista
Ha una visione pessimistica e negativa della vita e non perde occasione per piangersi addosso.

8 approfittatore
E’astuto e particolarmente abile nell’ottenere dagli altri ciò che desidera.

9 chi rinfaccia
E’ una persona che ha il vizio di rinfacciare tutto, comprese le azioni mai compiute.

10 altruista
Sembra ben disposto verso gli altri invece si nutre della loro energia lasciandoli stanchi ed indeboliti.

11 ipocondriaco
Sempre malato, le patologie sono il suo unico argomento. Affossa chi lo ascolta con il racconto dettagliato dei sintomi che lo affliggono.

12 contestatore
E’ un vampiro energetico sempre pronto alla protesta e alla contestazione. Il suo atteggiamento è di prevaricazione e violenza.

13 irascibile
Perennemente corrucciato ed arrabbiato con il mondo intero si sfoga con gli altri, subissandoli con il suo cattivo umore.

14 negativo
Basa il suo potere su assurde profezie catastrofiche con le quali mira a terrorizzare le persone con le quali vive. Utilizza la paura ed il timore per indebolire e poter rovinare la felicità altrui.

15 derelitto
Per far presa mette in evidenza la terribile condizione nella quale vive. Cerca di mettersi al centro dell’attenzione puntando sui problemi che gli rendono la vita impossibile.

16 illuminato
E’ un vampiro energetico che si spaccia per una grande personalità mentre non riesce a far altro che assorbire la linfa vitale di chi gli sta accanto.

17 moralista
Si tratta di persone che si ergono a giudici degli altri e non esitano ad imporre schemi e regole.

Quali sono i sintomi?

Se siete caduti nelle mani di un vampiro energetico vi accorgerete immediatamente che la sua presenza vi metterà di cattivo umore, se il legame che si crea tra voi è di dipendenza, però, potrebbe avvenire l’esatto contrario (provocando in voi malumore, quasi un bisogno morboso e malsano)… vi toglierà comunque energia, lasciandovi stanchi e demotivati.

Malgrado il suo atteggiamento amichevole avrete la sensazione che questa persona non vi rispetti e la sua presenza vi darà fastidio e imbarazzo.

Il vampiro potrebbe anche provocarvi dei forti mal di testa, stanchezza eccessiva, sensi di colpa e insicurezza; proverà sicuramente a farvi isolare da amici e familiari così che avrete solo lui come unico referente ed allora sarà difficile sfuggirgli o separarsi da lui.

Ricordate

Con questa tipologia di persone non vale la pena perdere tempo, difficilmente cambieranno e non si meritano la vostra considerazione……

Se volete essere davvero felici nella vita, è fondamentale eliminare i rami secchi e circondarsi di persone positive e vitali, che vi stimano ed apprezzano per quello che siete, che vi sostengono e vi incoraggiano senza prevaricarvi, e soprattutto, senza rubarvi la vostra preziosa energia!

dott. sta Daniela Tofi www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

martedì 27 ottobre 2015

Volontà. ...Che cosa è?

Il termine è stato utilizzato per designare concetti abbastanza differenti, ma è ormai caduto in disuso, dal punto di vista scientifico, proprio per la difficoltà di darne una definizione univoca.

Bisogna notare, comunque, che in ogni definizione di volontà è presente l'aspetto di controllo cosciente del comportamento e, spesso, quello di sforzo e di aspirazione.

La cosiddetta forza di volontà è un'energia che compare naturalmente, quanto più la coscienza si svincola dalle influenze sociali e culturali.

Questa forza, qualunque sia la sua modalità di espressione, ha una caratteristica: l'unicità, cioè appartiene solo all’individuo e ne determina il modo unico di comportarsi e rapportarsi con l’ambiente di appartenenza.

Il concetto di volontà indica quella capacità, insita nell’uomo, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo per il raggiungimento di determinati fini.

Nell’ambito della filosofia, i greci concepirono la volontà come la risultante di appetito e ragione: la ragione approva o disapprova l’oggetto appetibile, per poi accedere alla volizione, che si attua nell’azione.

In psicologia, il concetto di volontà viene concepito, a seconda della scuola di riferimento, come:

Una funzione autonoma, non riconducibile ad altri processi psichici;
Una forma particolarmente differenziata dei processi istintivo-affettivi, cui partecipano anche le funzioni intellettive.
Il comportamento volontario, quindi, può essere il risultato del libero arbitrio, oppure, secondo altri modelli, può essere connesso al concetto di “motivazione”, ovvero è intenzionale, cioè è finalizzato all’azione volta a raggiungere determinati scopi.

L’analisi del processo volitivo consente di distinguere:

Una fase di scelta, influenzata dalle spinte istintivo-affettive e dalle rappresentazioni ideative;
Una fase di decisione;
Una fase di esecuzione.
Gli atti di volontà possono essere rivolti:

All’interno, per esempio, per controllare pulsioni reattive;
All’esterno, per mobilitare le azioni, volte al raggiungimento degli obiettivi. In questo caso, la volontà è influenzata dalle pulsioni e può persino automatizzarsi, attraverso l’abitudine a ripetere determinate strategie.

Le alterazioni della volontà sono ampiamente reperibili in molti disturbi psichici, sia come caratteristica temperamentale abnorme, sia come reazione patologica del comportamento, per cui si osservano:

la caduta della volontà nei disturbi depressivi, specialmente in quelli endogeni (arresto melanconico), e nei disturbi schizofrenici, in cui la dissociazione ideo-affettiva coinvolge in pieno l’atto volontario (paralisi completa della volontà nella catatonia, ma anche tendenze oppositive illogiche, ecc.);l’incapacità di decidere negli ossessivi (compulsivi, coatti, psicastenici), o il loro essere schiavi della coazione a ripetere; improvvisi atti, anche caparbi e spesso inadeguati, nelle sindromi maniacali, ma anche in certe forme di epilessia temporale ed in varie forme di ritardo mentale.

Dott.ssa Daniela Tofi
www.psico-life.it
danielatofi@hotmail.com

venerdì 23 ottobre 2015

LA CRISI ESISTENZIALE

Come ben sanno gli psicoterapeuti, il motivo più frequente che ai nostri giorni spinge le persone in consultazione è una dolorosa sensazione di mancanza di un senso profondo che motivi il proprio esistere, ciò che comunemente è definito appunto "crisi esistenziale": ci sono molte persone che apparentemente conducono un'esistenza tranquilla, sembrano realizzate dal punto di vista lavorativo, hanno degli affetti, eppure soffrono a causa di una dolorosa sensazione di vacuità, di mancanza di senso, accompagnata da un'affettività abbattuta, depauperata di energie, appiattita.

Per far fronte a questa condizione di malessere che nel tempo può diventare onnipervasiva, contagiando con la sua negatività le diverse situazioni di vita, si possono scegliere diverse strade. Vediamo insieme le più frequenti ed i loro trabocchetti: il rimedio apparentemente più "facile" perché più a portata di mano e meno costoso in termini di investimento personale è il farmaco, la narcosi chimica, in grado di ottundere il dolore psichico più acuto. Gli effetti collaterali sono: appiattimento emotivo e ostruzione della strada verso il cambiamento. Il rischio è che non avvenga un passaggio fondamentale per la risoluzione della crisi ovvero la "presa in carico di sé" piuttosto che la delega a terzi (in questo caso ad un oggetto inanimato).

Altre forme di automedicamento assai diffuse soprattutto tra i più giovani sono le droghe (siano esse leggere o pesanti, distinzione convenzionale che non corrisponde alla reale portata delle conseguenze psichiche) e l'alcol a cui si chiede di smorzare quel senso di angoscia, di agitazione emotiva che sulla base di una propria valutazione, sembra priva di particolari contenuti.

Sempre sulla linea dello "stordimento di coscienza" ovvero di allontanamento e dispersione di attenzione dal proprio essere, uno stile tipico della nostra società, è l'impulso all'acquisto esagerato, fine a sé stesso, lontano dai bisogni reali dell'individuo.
Se accade questo la persona che soffre a causa di una crisi di senso vitale, permane in una sorta di limbo, in cui la conoscenza di sé e delle dinamiche affettive inconsce che la costituiscono, ovvero la vera causa del malessere, divengono difficilmente accessibili.

E' il prezzo che si paga quando si permane in una condizione di fuga dal dolore psichico evocato dalla propria storia personale.

E' il gatto che si morde la coda: per evitare di soffrire blocco la strada che mi potrebbe condurre verso le radici più profonde del mio star male.

Ma perché è necessario guardare al passato, ed in che modo una crisi esistenziale attuale dipende da situazioni antiche rispetto alle quali si era deciso di mettere una pietra sopra?

Perché il passato è tuttora attuale con la sua coloritura emotiva; è come se il senso di ciò che accade nel presente venisse tessuto sulla base di categorie relazionali antiche. Cambiano i personaggi e la scena ma la storia è sempre la stessa.

Questo è il punto di partenza per chi vuole affrontare e risolvere una crisi esistenziale: iniziare a mettere ordine nella trama del proprio Sé prendendo gradualmente coscienza di come quel passato doloroso pesi ancora sul vissuto attuale continuando a condizionarlo.

Ognuno di noi nasce già con un imprinting di personalità connesso alle radici profonde del suo essere, radici che in parte sono l'eredità di coloro che hanno preceduto, (gli avi, la componente genetica) fuse in una sintesi che costituisce un individuo di caratteristiche uniche.

Le madri ben sanno che è così: è esperienza comune il fatto di riuscire a cogliere le caratteristiche salienti dell'essere dei propri figli, fin dalla nascita. Questo "abbozzo" di personalità è quello che deve svilupparsi e potrà farlo grazie alle esperienze che andrà facendo nell'ambiente che lo accoglie; quindi già il neonato ha in sé un programma che gli consente di individuarsi, di crescere sulla base delle proprie potenzialità: compito dei genitori, sarà non certo imporre un modello educativo ma cercare di capire quali esperienze sono a lui più funzionali. Anche per i genitori è un percorso di conoscenza, perché devono rifarsi ai modelli educativi che a loro volta da figli hanno subito, con la possibilità di modificarli o integrarli, laddove sono stati vissuti come deficitari; la spinta emotiva di questo cambiamento è ancora una volta riconducibile ad un affetto, in questo caso quello che lega al figlio.

Se questo processo per i motivi e le condizioni di vita più svariate (es. una madre non in grado di provare affetto per il figlio), non funziona o funziona male, può accadere che il bambino che cresce diventi un adulto che ha un'immagine di sé inautentica, un po' come colui che indossa un abito che non corrisponde ai suoi gusti e alle sue misure perché è stato scelto da altri senza tener conto delle esigenze del destinatario.

Sarà il figlio una volta cresciuto, a doversi rendere conto del disagio che prova e progettare un cambiamento.
Spesso i sintomi hanno la funzione di segnalare il malessere che deriva da una situazione di questo tipo e quindi hanno un valore ma va compreso non inibito. Per tornare a vivere pienamente, si deve iniziare a lavorare proprio laddove si avverte un blocco che continua ad auto perpetuarsi, a causa del quale si è prodotto un sé inautentico, a sua volta responsabile di relazioni distorte e inappaganti con gli altri.

Il sé autentico deve trovare lo spazio per svilupparsi e recuperare gradualmente il tempo perso. Le esperienze esterne hanno di fatto questa funzione: consentire di conoscerci attraverso l'interazione.

La spinta, il "carburante" per riuscire a fare tutto ciò sono proprio quegli affetti il cui accesso alla coscienza è bloccato. L'ostacolo più grosso è proprio questo: ciò di cui normalmente siamo coscienti, le analisi razionali del proprio stato psicologico, sono parziali e ingannevoli e spesso più che aiutare a trovare il giusto sbocco, allontanano da esso. Solo a sprazzi, dagli strati più profondi della nostra personalità ci arrivano dei messaggi di grande saggezza, mi riferisco ad esempio ad alcuni sogni che rappresentano i nostri stati emotivi attraverso storie e personaggi.

Lo psicoterapeuta deve essere la guida, il compagno di viaggio, che segna la strada e mostra i tranelli. Quindi la scelta del terapeuta è fondamentale: dando per scontati i criteri di professionalità, si deve attribuire massimo valore alla sensazione di essere capiti e di sentirsi a proprio agio nella relazione, di essere "sintonizzati sulla stessa frequenza".

Va da sé che affrontare tutto questo non è facile e soprattutto non è immediato, richiede tempo e impegno costante; se si sceglie il cambiamento, il percorso di conoscenza è una via obbligata. La posta in gioco d'altro canto, è elevata: nascere finalmente alla dimensione di Uomo, dare un senso autentico, sentito come tale, al nostro esistere.

D. Tofi www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

giovedì 22 ottobre 2015

Perché ci identifichiamo con le nostre emozioni?

Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni.
Io ho dei pensieri, ma non sono i miei pensieri”. – Assagioli –

Quante volte ci identifichiamo con quello che stiamo vivendo.
“Che stato di confusione, forse ha ragione mia madre, sono un’incapace”. “Questa rabbia non mi da tregua, che sia diventata una persona rancorosa?”. “La tristezza mi uccide, proprio non riesco ad essere solare”. “Lei mi ha lasciato, allora sono disperato”.

Senza accorgerci di farlo, tendiamo a creare un’immagine di noi stessi in base alle nostre emozioni e ai nostri pensieri. “Ho fatto pensieri cattivi, quindi sono una persona cattiva” crediamo. “Cambio sempre idea, allora sono una persona incostante”. Accostare l’essere all’avere è un gioco però pericoloso.

Io HO pensieri, ma non sono quei pensieri. Posso avere pensieri di paura come di gioia. Di noia come di entusiasmo. Di rabbia come di pace. Non importa. Sono pensieri che attraversano il mio stato d’essere ma non sono “Me”. Bisogna stare attenti a come formuliamo i nostri pensieri, lo dico come ipnologo: noi ogni giorno ci ipnotizziamo e condizioniamo con i nostri pensieri.

Il processo di identificazione con i pensieri e le emozioni che viviamo non è qualcosa che ovviamente accade dall’oggi al domani. È un processo lento, silenzioso, che scava a nostra insaputa nel nostro inconscio.

Pensa a quante volte ti sarai identificato con i tuoi sbagli, ad esempio. “Faccio sempre lo stesso errore” ti ripeti. In quel momento stai marcando dentro di te con l’evidenziatore un giudizio. Non su qualcosa che fai e che quindi puoi cambiare, ma su qualcosa che sei. E l’essere per sua natura è qualcosa di permanente, di duraturo, di immortale. Ma soprattutto qualcosa di neutro. Siamo noi che diamo le etichette al nostro “essere”: sono così, sono cosà.
Un modo corretto invece di esprimerti e di rivolgerti a te stesso è: “Sto attraversando una fase di angoscia, ma io non sono quell’angoscia”. “Da quando mi ha lasciato vivo stati di ansia, ma io so che non sono quell’ansia”.

Ecco il segreto per essere in pace con la propria mente ma anche con il proprio spirito: non identificarti mai con quello che stai vivendo.
Vivilo, e poi lascialo andare.
Prova a ripetere dentro di te, come un mantra, queste parole.

“Io ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni.
Io ho dei pensieri, ma non sono i miei pensieri”.

Un caro saluto.

mercoledì 21 ottobre 2015

Sincronicita'

CHE COSA CI COLLEGA?
Nel libro di Jung, ‘Il principio di connessione acausale’, vi è un significato soggettivo che ci collega. Senza un osservatore (tu), non c’è mente, non c’è sincronicità, non c’è significato. I pensieri sono collegati agli eventi, la mente è connessa ai movimenti della materia, e questo è soggettivo; vi è l’assenza di una causa oggettiva (è acausale).
La mia ricerca è iniziata con Carl Jung, ma già millenni prima di Jung l’uomo aveva vissuto la sincronicità. Prima di ‘sincronicità’, l’umanità antica usava parole come compassione, armonia e unità.
Nel IV secolo a.C. il filosofo greco Eraclito vedeva tutte le cose come interconnesse: nulla è isolato e tutte le cose sono collegate. Similmente, Ippocrate diceva: «Esiste un flusso comune, un respiro comune. Tutto è in accordo». L’idea classica che la separazione sia un’illusione include anche un legame tra gli oggetti inanimati. Alcuni dicono che tutta la materia ha una coscienza.

L’immagine del ruscello è concessa da Shutterstock.
IL RUOLO DELLA COSCIENZA E IL PARANORMALE NELLA SINCRONICITA’
In tutta la sua vita, Jung si è interessato – e ha avuto diverse esperienze – di paranormale. A lavorare con lui c’era il fisico vincitore del premio Nobel Wolfgang Pauli che ha presumibilmente avuto esperienze con la telecinesi. Quando era in giro si verificavano spesso dei guasti catastrofici alle attrezzature sperimentali. Ci ha sempre scherzato su, ma gli altri scienziati temevano la sua presenza negli esperimenti, perché pensavano che la causa fosse sua. In fisica questo effetto è infatti rimasto noto come ‘Effetto Pauli’.
Insieme, Jung e Pauli sono stati gli scienziati pionieri della parapsicologia. Molti altri sono andati avanti negli studi, e la coscienza viene spesso vista come la chiave per spiegare abilità come la telecinesi, la visione a distanza e la precognizione.
Un grande esempio sono i ‘campi morfici’ di Rupert Sheldrake. Egli ci mostra come i campi possano creare delle relazioni. Nel suo libro, ‘Una nuova scienza della vita’, Sheldrake cita degli esperimenti nei quali viene data ai ratti una specifica formazione e, in seguito, i ratti presenti in un altro laboratorio sono più facilmente in grado di imparare la stessa cosa. È come se i ratti condividessero un campo nel quale le conoscenze acquisite attraverso questo allenamento diventano disponibili per tutti.
Il fisico David Bohm, in ‘Ordine implicito ed esplicito’, afferma che la coscienza inizia all’esterno del nostro spazio-tempo, nel ‘flusso’ in cui è presente tutta la conoscenza e la nostra realtà materiale prende forma. Essa poi si dispiega nella nostra dimensione, per poter ritornare di nuovo al flusso.
Queste teorie, assieme a quelle esplorate da Michael Talbot nel famoso ‘Universo olografico’ o dal fisico David Peat in ‘Significato e Forma’, ipotizzano tutte l’esistenza di un substrato al di sotto della nostra realtà materiale e temporale.
La coscienza stessa non può essere quantificata scientificamente. Molti credono che esista fuori dal cervello – nel concetto tradizionale indiano di campo, o ‘Akashic’, esiste un compendio di tutte le conosce di tutti gli esseri senzienti esistiti del tempo. Sebbene questo sia d’accordo con molte di queste teorie in merito all’esistenza di una ‘matrice’, qual è l’intelligenza al lavoro dietro tutto questo?

UNA FORZA INTELLIGENTE
L’umanità ha da tempo riconosciuto l’esistenza di un’Intelligenza maggiore, sebbene appaia in diverse forme; e anche i più grandi scienziati della Storia sono arrivati alla stessa conclusione. Einstein disse: «Tutti coloro che sono seriamente coinvolti nella ricerca scientifica si convincano che lo spirito sia una manifestazione delle leggi dell’Universo – uno spirito di gran lunga superiore a quello dell’uomo».
Max Planck, uno dei padri fondatori della fisica quantistica, ha detto: «Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù di una forza. Dobbiamo assumere che dietro questa forza ci sia l’esistenza di una mente cosciente e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia».
Isaac Newton riteneva che l’universo fosse meccanico, messo in moto da Dio e poi lasciato andare. Ci sono altri che credono nel fatto che l’esistenza sia un’emanazione di Dio. Alcuni non credono che esista proprio alcun tipo di intelligenza esterna. Questo non è ciò che penso io.
Molte di queste teorie e credenze sostengono che i nostri pensieri possano alterare il mondo esterno in relazione a noi stessi. Sebbene ci sia un’intelligenza che coordina, tu sei un co-creatore.
Quando la sincronicità si manifesta come un evento esterno, correlato in maniera acausale e significativa ai propri pensieri, è chiaro come si stia aiutando a crearlo.
Ma gli eventi coincidono anche senza che noi li pensiamo, come il momento della mia nascita. Dentro di noi abbiamo sempre saputo che noi siamo sempre stati guardati, persino in una stanza vuota, non siamo mai veramente soli. Quante volte gli eventi si allineano in maniera così strana e statisticamente improbabile da credere che si siano verificati per caso? Essi devono provenire dall’esterno. Ciò significa che la Fonte o l’Unità che in definitiva controlla il tutto è là fuori.
E anche Albert Einstein, d’altronde, una volta ha detto: «La sincronicità è il miglior modo per Dio di rimanere anonimo».

d.tofi
Www.psico-life.it
danielatofi@hotmail.com

domenica 18 ottobre 2015

LE 5 FERITE EMOTIVE CHE CI IMPEDISCONO DI VIVERE SERENAMENTE. ...


le cinque ferite

Alcuni aspetti della nostra esistenza ci impediscono di vivere serenamente. La nostra mancanza di gioia di vivere o addirittura la nostra rassegnazione potrebbero essere legate a una o più ferite. Si parla di cinque ferite emotive fondamentali nate dal rifiuto, dall’abbandono, dal tradimento e dall’aver subito un’ingiustizia o un’umiliazione.

Le persone che hanno subito una o più di queste cinque ferite sviluppano delle maschere per non vederle e per non sentirle. Queste maschere impediscono di identificare le ferite emotive e di guarirle. Per riuscire a comprenderle e a risolverle è necessario andare in profondità, in un viaggio che può risultare doloroso ma che rappresenta l'unica via di guarigione.

Secondo le teorie di Lise Bourbeau, esperta di crescita personale, possiamo guarire le nostre ferite emotive soltanto andando alla loro ricerca e facendole riemergere, senza nasconderle. A parere dell’esperta ognuno di noi nasce con delle ferite emotive. Risolverle per riuscire ad essere felici fa parte del progetto della vita.

Il grado della nostra sofferenza fisica e psicologica può essere un’indicazione di quanto siano profonde le nostre ferite. Il processo di guarigione può essere molto lungo. Lise Bourbeau fa risalire le ferite che dobbiamo affrontare in questa vita alle vite precedenti. Per guarire le nostre ferite emotive dobbiamo cercare di eliminare i filtri e di abbattere le barriere che ci separano da esse.

Forse stiamo cercando di barricarci dietro convinzioni errate o di nascondere le nostre sofferenze. Ecco quali sono le cinque ferite che possiamo provare a cercare dentro di noi. Almeno una di queste potrebbe essere presente senza che ne siamo ancora consapevoli. Provate a riconoscere le cinque ferite e ammirate le fantastiche illustrazioni di Somaramos.

1) Rifiuto
La ferita emotiva del rifiuto è una delle più profonde. Non porta tanto al rifiuto degli altri, quanto alla non accettazione di se stessi e alla svalutazione delle proprie capacità. Non amare se stessi, però, conduce a non riuscire ad amare gli altri e la situazione in questo modo diventa ancora più tragica. Le persone con la ferita del rifiuto vorrebbero vivere sempre nascoste e sentirsi quasi invisibili. Fuggono dalle sfide. Di solito sono degli intellettuali che scelgono la solitudine e che faticano a gestire le emozioni lasciandosi sopraffare da esse. Sono delle persone introspettive, dotate di una spiccata capacità di osservazione e di grande intuito.
2) Abbandono
Persone che portano dentro di sé la ferita dell’abbandono difficilmente riescono a trascorrere del tempo da sole nella vita. Soffrono molto la solitudine e sono sempre alla ricerca di qualcuno che possa fare loro compagnia. Si trovano in una situazione di forte carenza d’affetto di cui a volte non riescono a dare spiegazione né a se stessi né agli altri. Tendono a preoccuparsi molto e con largo anticipo se sanno che dovranno affrontare un evento problematico. Desiderano impegnarsi per un obiettivo comune e spesso amano fare parte di gruppi e associazioni che rispecchino i loro ideali
3) Umiliazione
Chi ha dentro di sé la ferita dell’umiliazione di solito tende ad impegnarsi al massimo nei propri progetti e a dare tutto se stesso nel lavoro di gruppo. La preferenza di queste persone è per i lavori pratici e artigianali, in cui possano esprimere le proprie capacità dando vita a qualcosa di concreto e di visibile che possa attrarre l’attenzione degli altri. Nello stesso tempo la ferita dell’umiliazione può portare a provare vergogna e senso di inferiorità. Può essere presente la tendenza a soddisfare prima di tutto le esigenze degli altri invece di dare la precedenza alle proprie necessità. Empatia e ipersensibilità sono tra le caratteristiche principali delle persone con la ferita dell’umiliazione.
4) Tradimento
Ferita emotiva del tradimento è legata alla fiducia che ad un certo punto è venuta a mancare. Ad esempio si potrebbe essere vittime di una promessa non mantenuta o di un’aspettativa non raggiunta. Chi ha dentro di sé la ferita del tradimento pretende molto sia da se stesso che dagli altri e non ama mostrare segni di debolezza. Le ricche aspettative per il futuro a volte possono diventare un ostacolo perché impediscono di vivere al meglio il presente. Le persone con questa ferita spesso cercano di tenere sotto controllo gli eventi e chi le circonda.
5) Ingiustizia
Le persone che hanno subito un’ingiustizia e che ne sono state ferite profondamente vivono troppo concentrate sul proprio dovere e tendono a privarsi di ogni piacere perché credono di non meritare qualcosa di bello nella vita e perché sono convinte che portando sempre a termine al meglio i propri compiti otterranno la perfezione e una sorta di riscatto. A volte le ferite emotive si manifestano nella struttura fisica delle persone. La ferita dell’ingiustizia porta ad avere un portamento rigido, eretto e fiero. Le persone ferite dall’ingiustizia tendono essere molto precise e ordinate.

sabato 17 ottobre 2015

LE MASCHERE

Le maschere o finzioni funzionali secondo la psicologia

Chi è “ingabbiato nella maschera” non vede il proprio Sé ma coglie in essa l’unico ed esclusivo modo di esserci. Le maschere o “finzioni funzionali” o “rappresentazioni abituali del falso Sé” o “enneatipi in regressione” più frequenti sono:

La maschera persecutoria

Le azioni della quale si concentrano sulle seguenti modalità comportamentale: il ricattare e l’intimidire, con il ricorso ad un atteggiamento aggressivo verbale e fisico; il chiedere con comportamenti arroganti, vendicativi, colpevolizzanti e pretenziosi; la colpevolizzazione.

La maschera narcisistica

Rappresentata da un eccesso di innocenza o ingenuità o falsa e melensa modestia, attraverso la quale il soggetto, impossibilitato a vedere l’altro per quello che è tende ad idealizzarlo o a manipolarlo.

La maschera vittimistica o depressiva

Si manifesta con la tendenza alla svalutazione di sé per avere il controllo dell’altro. E’ una delle forme di manipolazione più potente che esista.


La maschera del salvatore

Si manifesta attraverso il soccorrere, l’iper-accudire, un’accentuata sollecitudine a soddisfare tutte le necessità dell’altro per renderlo ulteriormente dipendente.

La maschera dell’evitante

Il soggetto, al fine di evitare una condizione di assorbimento intersoggettivo  che lo porrebbe nella condizione di sentirsi invaso dall’altro, reagisce assumendo un atteggiamento di freddezza, noncuranza, assenza di passione e cinico distacco.

La maschera del manipolatore affettivo

Il soggetto cerca di corrompere l’altro, con il potere, il denaro, l’amore, il sesso, la generosità, l’adulazione, la compiacenza, lo squadro magnetico e il fascino.

La maschera del dipendente

Si manifesta attraverso l’elemosinare affetto e il pietire l’amore dell’altro.

La maschera della falsa ricettività o remissiva compiacenza

Si manifesta nella forma della falsa disponibilità o della compiacenza o nel non dire mai di no di fronte ad ogni richiesta.

La maschera della falsa passività

Si manifesta attraverso il mancato coinvolgimento affettivo, energetico e la paura di amare, con l’intento non solo di deresponsabilizzarsi, ma soprattutto di ottenere che l’altro faccia qualcosa al nostro posto.

La maschera della falsa autosufficienza

Nasconde la paura di essere rifiutato ed abbandonato.

Per concludere…

Se la  maschera è “di inadeguatezza” ecco che la visione del mondo sarà caratterizzata da insicurezza, senso di difficoltà, paura, svalutazione e diffidenza nei confronti dell’esterno: questa “maschera”, anche se non corrisponde alla vera identità del soggetto – che avrà ovviamente anche altre qualità –  farà sì che lo stesso venga percepito come un soggetto di cui  “diffidare” in quanto persona piena di difficoltà e di difese che non stimolano fiducia negli altri.

Ecco che la maschera – il nostro falso Sé – si impadronisce della nostra essenza non permettendoci di contattarla anzi, finisce per produrre pensieri e comportamenti che attraggono esattamente l’uguale.

Una maschera troppo rigida tende a portare a regressioni il che può essere un vero pericolo per la psiche che si trova a non avere un sufficiente spazio per crescere.

E’ quindi importantissimo capire bene quali sono le “maschere” che abbiamo dovuto indossare in modo da utilizzarle al meglio per sviluppare le qualità e capacità intrinseche che possono poi guidarci alla costruzione della reale identità dell’Io.

Per evolvere, conoscere ed amare in autenticità d’intenti, per guarire le nostre relazioni ed il nostro corpo, occorre che diventiamo consapevoli delle nostre maschere e del modo in cui ci imprigionano nelle nostre quotidiane menzogne.

Testo parziale tratto da “La natura dei conflitti” di F. Manetti”