venerdì 27 novembre 2015

L'Ombra - una tipica storia di ombra e di come essa si potrebbe manifestare.

"Il signor B., padre di famiglia sempre gentile e premuroso, mai resosi colpevole di alcunché,  ha abituato tutti al suo anteporre gli interessi familiari ai suoi. Noto per l'assoluta disponibilità  nei confronti di parenti e amici, vicini, non di rado viene considerato un modello.
Tutti sono pieni di lodi per lui.Egli rappresenta il perfetto emblema del padre esemplare che si sacrifica per la famiglia, gli amici e i colleghi. Qualora gli si chieda un favore, si potrà  esser certi che vi adempira'.
Nel caso in cui si abbia bisogno di aiuto egli sarà  sempre presente. Tuttavia un giorno - e per ognuno  in modo inaspettato - egli esce completamente dal suo ruolo.
Per un breve momento, diventa qualcuno finora sconosciuto: un criminale che conficcato un coltello da pane nel ventre della propria  moglie, inseguendo anche il figlio con l'intento di ucciderlo.
Lo spettro scompare così  inaspettatamente  come aveva fatto irruzione.
Orbene il Sig.  B. sprofonda in sé  e ridotto ad uno straccio, si lascia arrestare dalla polizia senza alcuna resistenza.
Una giornalista, sforzandosi invano di spiegare a parole l'inspiegabile, lo "descrivera'" comunque un uomo finito.
Un minuto di dominio dell'ombra ha annientato decenni di vita borghese ben delineata.
Da un momento all'altro il padre buono è  diventato per tutti il cattivo uomo - ombra.
A ben ragione il nostro mondo dimentica assai rapidamente  tali uomini - ombra,  li bandisce il più  velocemente possibile dalla normale quotidianità  e li rinchiude in prigione o in istituti inaccessibili.

...Quando l'ombra viene repressa molto a lungo e con sistematica persistenza, essa può  agire in maniera completamente  estraneità,  come se non appartenesse alla persona corrispondente"

Tratto dal libro "Ombra apri la tua porta al lato oscuro della tua anima" , di R. Dahlke

lunedì 23 novembre 2015

LA FELICITÀ

La felicità  consiste nel provare. .godere. .sentire..quello che ha di bello la vita in serbo per noi.
Si tratta di un'abilità  individuale e non di un'eventualita' del destino. Tutti possono essere felici se imparano a capire come si fa ad esserlo. Infatti, per vivere una vita felice è  necessario essere capaci di godere di ciò  che già  si ha..senza comunque  rinunciare ad avere obiettivi di crescita e miglioramento.
La felicità  non va ricercata nel futuro, ma nel presente, perché  non dobbiamo dimenticare che il nostro attuale presente è  il futuro che immagine amo per noi qualche tempo fa. Molti dei nostri desideri sono stati realizzati, ambiziosi traguardi sono stati raggiunti.
Ma siamo per questo felici ora? La risposta...sono sicura è  no.

Ognuno di noi ha qualcosa che ancora gli manca per essere felice: il matrimonio, un lavoro, la carriera, la casa, la laurea...
L'evasione dal presente, l'incapacità  di prendere decisioni, la tendenza alla procastinazione determinano l'idealizzazione del proprio  futuro, che intanto diventa presente e la storia continua. La felicità,  sempre rimandata a domani, continua a sfuggire alla nostra esistenza, nell'illusione che qualche forza magica, soprannaturale o anche proveniente da qualche misteriosa area del proprio Sé possa finalmente risvegliarsi e risolvere per incanto tutti i problemi.
A volte l'infelicita' deriva dalla sensazione di non avere o non avere abbastanza, di ciò  che è  necessario per vivere bene.

Molto spesso si tratta di bisogni indotti dall'ambiente sociale in cui viviamo, dalla società ed in particolare da quei persuasoi occulti che, con logiche sottili ed ingannevoli, cercano di condizionare nelle scelte e soprattutto  nei consumi.

La felicità è  nel presente..non conta quanto abbiamo, ma quanto riusciamo a godere di quello che possediamo.

Dott.ssa  Daniela Tofi www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

venerdì 20 novembre 2015

Sogno o realtà?

Sto passeggiando lungo una strada solitaria. Mi godo l'aria, il sole, il canto degli uccelli
E il piacere di lasciarmi condurre dai miei piedi
Dove vogliono loro.
Sul ciglio della strada
Incontro uno schiavo addormentato.
Mi avvicinò e scopro che sta sognando.
Dalle sue parole e dai suoi gesti indovino...
So che cosa sogna:
Lo schiavo sta sognando di essere libero.
L'espressione  del suo volto riflette pace e serenità.
Mi domando..
Debbo svegliarsi e dimostrarlo che è  soltanto un sogno
Così  che sappia di essere sempre uno schiavo?
Oppure debbo lasciarlo dormire più  a lungo possibile,
Così  che possa godere, anche se soltanto in sogno, della realtà  fantastica?

martedì 17 novembre 2015

Autostima: SONO FIERO/A DI ME STESSO/A

Sono fiero di me stesso..

Non dimenticare che TU sei il tuo migliore amico e il tuo primo critico.

A  prescindere dalle opinioni degli altri, il volto che devi saper guardare allo specchio con orgoglio alla fine della giornata è  il tuo.

Ciò  che pensi di te stesso è  cruciale per il tuo benessere a lungo termine.
Cerca sempre di fare in modo che le tue azioni possono renderti orgoglioso di te stesso.

Fai in modo che i tuoi comportamenti  riflettono i tuoi pensieri e i tuoi valori, non quelli degli altri.

Ciò  accrescera' in un circolo vizioso la tua autostima e ti fornirà  la carica necessaria per affrontare  con entusiasmo, serenità  e determinazione  le sfide che la vita ti porrà  davanti.

Cerca sempre di avere bene in mente la persona che vuoi diventare e agisci di conseguenza.
Essere fiero di te stesso non significa comportarti in maniera arrogante o ritenersi perfetto.

Significa riconoscere che hai delle qualità come individuo che ti rendono meritevole di affetto e amore.

dott.ssa. Daniela Tofi
www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

lunedì 16 novembre 2015

IL TUTTO: nell'unità tutto e nulla diventano una cosa sola

Nell'unità tutto e nulla diventano una cosa sola.
Quando l'uomo dice io, secondo l'eminente psicologo e psicoterapeuta di impostazione esoterica, Thorwald Dethlefsen, si isola subito da tutto ciò che sente come non-io, come tu, divenendo così prigioniero della polarità.
L'Io ci lega al mondo degli opposti, che si manifesta non solo nell'io e nel tu, ma anche in ciò che è interno ed esterno, uomo e donna, buono e cattivo, giusto e sbagliato.
Ciò ci impedisce di percepire nelle forme unità e completezza.
L'Ego dell' uomo vuole sempre avere qualcosa che è al di fuori di lui, mentre dovrebbe semplicemente perdersi per poter essere una cosa sola col tutto (Malattia e destino, il valore e il messaggio della malattia, Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke).
Un uomo fa parte dell'umanità e consiste lui stesso di organi, che sono parte di lui e al tempo stesso consistono di molte cellule che, a loro volta,  rappresentano le parti dell'organo.
L'umanità si aspetta dal singolo uomo che si comporti in modo tale da essere utile all'evoluzione e alla sopravvivenza dell'umanità. L'uomo si aspetta dai suoi organi che funzionino in modo tale da consentirgli la sopravvivenza. L'organo si aspetta dalle proprie cellule che facciano il loro dovere come è indispensabile per la sopravvivenza dell'organo.
In questa gerarchia, che potrebbe essere prolungata da entrambi i lati, ogni struttura conplessa (umanità, stato, organo) fa in modo che, possibilmente, tutte le parti siano subordinate all'idea comune e la servano.
La nostra epoca è caratterizzata da irriguardosa espansione e realizzazione dei propri interessi.
Nella vita sociale così come in quella privata ognuno cerca di dilatare oltre ogni limite i propri fini e i propri interessi senza riguardo per nessuno, cercando di creare ovunque basi per i propri tornaconti, mettendo tutti al servizio del proprio personale vantaggio.
L'errore di pensiero e di azione sta nel credere in questa polarità: "io o la comunità, la parte o il tutto".
Il Sé non è se stessi ma il centro che si trova ovunque, comprende tutto ciò che è (la natura di Dio è un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non è da nessuna parte, Empedocle).
Solo se impariamo a mettere poco per volta in discussione la fissità del nostro io e i nostri confini , solo se impariamo ad aprirci, cominciamo a vivere una parte del Tutto e anche ad assumerci la respondabilità del Tutto.
Capiamo allora che il bene del Tutto e il nostro bene sono la stessa cosa, poichè noi, in quanto parte, siamo una cosa sola col Tutto.
La psiche non è dentro di noi, noi siamo dentro la psiche così secondo James Hilmann, psicologo analista junghano.
La depressione, tanto diffusa in epoca contemporanea, può allora dipendere dalla percezione profonda della distruzione che noi abbiamo portato al mondo. Noi la sentiamo e pensiamo nel nostro cervello, nella nostra famiglia, nel nostro matrimonio, nel nostro lavoro, nella nostra economia; portiamo la depressione dentro un me, invece, se c’è un’anima mundi, se c’è un anima del mondo, e noi facciamo parte dell’anima del mondo, allora ciò che accade nell’anima esterna accade anche a me.
Se io avverto l’estinzione delle piante, degli animali, delle culture, dei linguaggi, dei costumi, dei mestieri, delle storie ...  la mia anima prova un sentimento di perdita, di solitudine, di isolamento, di lutto, di nostalgia, di tristezza che è il riflesso in me di una condizione di fatto.  Se non mi sento depresso allora sì che sono pazzo: questa è la vera malattia, essere completamente escluso dalla realtà di ciò che sta succedendo nel mondo.
Per concludere, affidiamoci al pensiero del grande Jung:
"oggi si vuol sentire parlare di grandi programmi economici  e politici ossia proprio di quelle cose che hanno condotto i popoli a impantanarsi nella situazione attuale […]; ma io non parlo alle nazioni, io mi rivolgo solo a pochi uomini; se le cose grandi vanno male è solo perché i singoli individui vanno male, perché io stesso vado male; perciò per essere ragionevole l’uomo dovrà cominciare con l’esaminare se stesso [...] è fin troppo chiaro che se il singolo non è realmente rinnovato nello spirito neppure la società può rinnovarsi, poiché essa consiste nella somma degli individui".

d.tofi

domenica 15 novembre 2015

Come i terroristi usano i media per i loro scopi

Ricerche dimostrano come gli sviluppi dell’Information Technology hanno rivoluzionato il concetto di guerra, di difesa e di sicurezza. I nuovi attentatori si sono dimostrati estremamente evoluti nel loro utilizzo di tecnologie avanzate, tra cui il cosiddetto Web 2.0, il sito internet di navigazione che permette maggiore interattività ed è utile per la pianificazione di attentati che nelle loro azioni di propaganda, arruolamento e supporto logistico. Si parla, secondo gli esperti, di Information Warfare, di Cyber Terrorismo e di NetWar. Le grandi qualità di Internet, tra cui facilità di accesso, mancanza di regolamentazioni, ampio pubblico potenziale, grande flusso di informazione, lo rendono uno strumento di lavoro ottimale per i gruppi che utilizzano il terrorismo per raggiungere i propri obiettivi. E’ evidente che in questa battaglia globale contro la violenza politica dobbiamo capire meglio come questi usano internet e migliorare la nostra capacità di monitorarne le attività.

Internet rappresenta l’incarnazione dei valori democratici della libertà di parola e di libera ed aperta comunicazione delle idee come mai si era avuto prima. Si potrebbe partire dallo scenario della Netwar: dopo l’attentato dell’11 Settembre il mondo dell’Intelligence è cambiato, avvertendo l’ esigenza di una diversa intelligence: dispersa, non concentrata, aperta a numerose fonti ecc… ; i nuovi terroristi sono tipicamente organizzati in piccole unità sparse nel mondo e coordinano le loro attività online, ovviando così alla necessità di un comando centrale. Il fenomeno della Netwar è una forma di conflitto segnato dall’ utilizzo di organizzazioni a rete e relative dottrine, strategie, tecnologie (Ronfeldt & Arquilla,1996). Sono cresciute le comunità virtuali ed a causa di questo è cresciuto l’interesse verso la capacità dell’analisi delle comunicazioni scambiate in queste comunità (Fabris & Zanasi, 2003). La struttura di Internet permette alle attività criminose di crescere e a chi le effettua di rimanere anonimo.

Il fenomeno connesso alla diffusione del materiale via web è la radicalizzazione, cioè il processo di adozione di un sistema di credenze estremiste comprendenti la decisione di utilizzare, supportare o facilitare la violenza come metodo per cambiare la società. La radicalizzazione è divenuta la linfa vitale dei movimenti salafiti, estremisti e globalizzati, allo scopo di arruolare nuove reclute per i gruppi estremisti e creare il giusto ambiente in cui nuovi gruppi possono crescere e prosperare.

Nello specifico ci si potrebbe calare nell’ analisi di come i terroristi usano internet; sarebbe stato identificato un nuovo campo di battaglia chiamato Cyberspace e si tratterebbe di una guerra ideologica. La capacità di utilizzarlo ha messo in grado le reti dei terroristi di estendere la loro capacità di azione oltre i confini nazionali, permettendogli così di diffondere il proprio messaggio ad un pubblico assai ampio. Le chat rooms di Internet stanno ora rimpiazzando le moschee, i centri comunitari ed i bar come luoghi di arruolamento e radicalizzazione da parte di gruppi terroristici come Al Qaeda. L’ Intelligence governativa deve essere pronta a raccogliere e potenziare le proprie competenze in veri e propri Internet Centers, “corpi d’ armata” di queste nuove guerre. I blogs, ad esempio, sono diventati uno dei tipi di comunicazione a crescita più repentina tra quelli usati sul Web; i bloggers possono esprimere le loro opinioni con grande libertà e facilità.

I terroristi una volta usavano Internet principalmente per supportare le loro operazioni. Poi hanno cominciato ad usare il Web per un altro motivo: diffondere le ideologie più velocemente, largamente, efficacemente di quello che è stato mai reso possibile prima.

Per sua natura Internet permette la formazione di gruppi e relazioni che altrimenti non sarebbero possibili aumentando e potenziando la possibilità di connessione sociale. La “killer application” di Internet non è tanto il suo utilizzo come strumento di diffusione bensì quello di un canale di comunicazione che lega persone nel cyberspazio, dove possono incontrarsi ed agire insieme.

Nella pianificazione degli attacchi terroristici i membri del gruppo si tramandano messaggi attraverso una sezione protetta da password; poi il messaggio viene preparato e salvato come draft, così che chiunque può accedere all’ indirizzo mail; inoltre vengono proposti manuali di addestramento e poi avvengono comunicazioni telefoniche su Internet.


Come sappiamo Al Qaeda (significa la base) è l’organizzazione che ha saputo utilizzare al meglio i Media soprattutto elettronici: dalla televisione a internet.

Il terrorismo ha capito bene il principio che il messaggio è nell’ atto in sé, nella paura che esso genera, veicolata da mezzi di comunicazione sempre più veloci e intrusivi. I fini terroristici legati all’ uso dei mass media sono: l’esigenza di glorificare la violenza, pianificando e compiendo atti terroristici; poi sopraggiunge la propaganda che loda sempre la violenza e la morte; il reclutamento online, la ricerca di finanziamenti e l’addestramento digitale (Paolo M., 2014).

Un altro sistema che agisce differentemente è quello di Al Qaeda che fa sì che decapitando una “cellula” non si mina la sicurezza delle altre dal momento che non c’è alcun legame gerarchico tra cellule, apparendo quindi la struttura come una “rete” e non come una piramide (Cesta,2011).

La strategia mediatica di questa, riferisce Cesta, è pensata per assolvere a varie funzioni e perciò si è dipanata attraverso vari canali: dichiarazioni inviate via fax, post su internet, registrazioni audio, produzione di articoli e interviste. Ogni prodotto mediatico è rivolto a target specifici.

Il “calendario” delle esternazioni corrisponde ai principali eventi internazionali ed è volto a fare propaganda, far salire la tensione, dimostrare anche che il network o un leader dell’organizzazione è in vita, aumentare sostenitori o lanciare attacchi. Per sensibilizzare le masse riguardo alla loro causa, per guadagnare il sostegno dei simpatizzanti e per generare paura i terroristi necessitano di pubblicità.

Dopo la perdita di un rifugio sicuro in Afghanistan, Al Qaeda come rete è stata spezzettata in più piccole e sfuggenti fazioni (micro-attori). Essa ha poi avuto una drastica diminuzione nella capacità comunicativa. I mass media allora sono divenuti componente cruciale nelle operazioni strategiche, tanto da farla divenire poi “Al Qaeda 2.0”.

isis maglietteE’ facile notare come dichiarazioni audio, video comunicati stampa e telegiornali in streaming sono creati presso la propria azienda di produzione in-house conosciuta come As-Sahab.

Quello che più interessa agli studiosi nel settore sono gli operatori che producono e postano materiale in Rete, ovvero i gruppi armati affiliati, e il mezzo tramite cui pubblicano questo materiale, utilizzando un Media Production and Distribution Entity (MPDE), cioè un’entità preposta a rendere pubblici questi materiali. Esse con le loro attività massimizzano le sinergie e gli sforzi dei gruppi che contribuiscono al media stesso; poi creano un link implicito che è garanzia di autenticità del materiale, come una “genuinità” conferita alla notizia rilasciata solo per il fatto che avvenga per mezzo di un MPDE specifico, conosciuto e affidabile.

I terroristi usano questi mezzi allo scopo primario di attirare l’attenzione e generare paura: infatti, per massimizzare l’ effetto, gli attentatori spesso hanno scelto di eseguire attacchi in aree ad alta densità di presenza di Media e possibilità di visibilità. Essi di norma “hackerano” i server di rete per inviare messaggi irrintracciabili, manuali di istruzioni e materiali vari. Quando i terroristi vengono individuati e il server viene chiuso, ne hackerano un altro. Oltre ai blog e alle chat vi è il forum, che principalmente viene usato ad esempio per trattare una serie di argomenti poi accompagnati da interventi diretti degli utenti.

Alcuni forum sono così visitati ed attendibili che assumono quasi una veste ufficiale. I jihadisti stanno usando internet e il web per ispirare a creare una tribù virtuale globale degli islamici radicali, una umma online, con segmenti di affinità in tutto il globo.

Anche i siti di social networking presenti in tutto il Medio Oriente sono utili loro perché permettono la connessione tra gruppi di persone con interessi comuni. Internet è usato per l’80% come strumento di ricerca delle informazioni pre- attacco, compresi schemi nucleari, mappe ferroviarie, reti idriche, orari di volo dell’ aereoporto ecc…ecc… Cosa eclatante, sottolinea lo stesso Cesta, sarebbe che questi hanno istituito una rete di formazione a distanza attraverso un’università aperta per il Jihad, caricando sul server video di formazione, manuali, materiali strategici, CD-rom con spiegazioni di armi, tecniche di combattimento corpo a corpo, fabbricazione di bombe e tattiche di assalto. Sono diffusi molti quotidiani online scaricabili in PDF e redatti in lingua inglese.

In generale, secondo lui, la potenza del network mediatico e del suo sapiente utilizzo è proprio quella di poter immettere regolarmente comunicati, informazioni, dichiarazioni e video in modalità del tutto anonima e volatile. Così si può parlare oggi di “terrorismo olografico” nel momento in cui anche la figura dello sceicco viene de materializzata come un ologramma, rimanendo immutata per anni (si pensi solo a Bin Laden, immagine e paradigma da seguire e venerare da chiunque voglia seguire la sua missione) (Cesta, 2011).

D.tofi

domenica 8 novembre 2015

La felicità? Può essere una scelta.

Essere ottimisti, avere degli obiettivi, stare più tempo con le persone care, aiutare il prossimo, saper superare i momenti difficili e fare anche un po’ di sport.

In una ricerca precedente avevamo già dato la parola alla… Dottoressa Sonja Lyubomirsky, esperta di felicità e autrice di due best seller: “The How of Happiness” e “The Myths of Happiness” in cui tratta alcune ricerche psicologiche sulla felicità.

Nel libro “The How of Happiness” viene evidenziato come il 40% della felicità sia dovuto a delle attività intenzionali e non a dei fatti casuali; questo significa che possiamo aumentare la nostra felicità semplicemente organizzando meglio le nostre giornate attraverso alcuni comportamenti come i seguenti:

1) L’ottimismo è il profumo della vita (cit. Tonino Guerra) ma anche la gratitudine e la consapevolezza hanno un gran bel profumo

La Dottoressa Lyubomirsky afferma che: “Le persone che godono delle piccole cose della vita e che sono ottimiste sono anche quelle che riescono a vivere in maniera piena ed intensa al contrario di coloro che invece rimuginano sul passato e sono più stressati. Quindi più una persona sarà grata alla propria vita meno sarà stressata e ansiosa.”

La ricercatrice dell’Università di Harvard, Dottoressa Francesca Gino, nel suo libro “Sidetracked” sostiene che essere consapevoli di quello che succede intorno a noi ci fa godere appieno la nostra vita rendendoci quindi più felici.

2) Avere degli obiettivi

Lo psicologo Jon Freeman dell’Università di New York, grazie ad una serie di studi, è arrivato alla conclusione che le persone che rincorrono degli obiettivi sono spesso quelle più felici. Una conferma di ciò viene anche dallo psicologo Richard Davidson che ha scoperto che chi ha degli obiettivi è in grado di attivare pensieri positivi che eliminano emozioni negative come la paura e la depressione.

3) Passare più tempo con amici e familiari

In una ricerca del 1996 due ricercatori, Murray e Peacock, hanno scoperto che il 70% della felicità di ciascuno di noi dipende dalla vicinanza affettiva di persone care (amici, compagni, familiari). I due ricercatori sostengono che più relazioni profonde si hanno più si è felici.

Una ricerca sulle religioni del 2010, condotta dai ricercatori Chaeyoon Lim e Robert Putnam, non entrando nello specifico della fede, afferma che i praticanti che frequentano chiese e comunità religiose sono più soddisfatti della loro vita e quindi più felici perché sono circondati da persone che la pensano come loro e che gli sono vicini affettivamente.

4) Aiutare il prossimo

In una ricerca precedente si era già dimostrato quanto il volontariato fosse in grado di rendere le persone che lo praticano più felici e meno stressate; molti studiosi sostengono anche che basterebbe essere più disponibili e gentili con il nostro collega o vicino di casa per essere un po’ più sereni.

5) Quello che non mi uccide mi fortifica (cit. Friedrich Nietzsche) e mi rende anche più felice

Le persone più felici sono anche coloro che, nonostante abbiano avuto momenti difficili nella loro vita (come tutti d’altronde) , si sono rialzate in piedi più forti ed anche un po’ più felici di prima per esserne riusciti a venirne fuori.

La Dottoressa Lyubomirsky nel suo libro “The How of happiness” infatti riprende una ricerca: “…in uno studio alcuni ricercatori avevano intervistato degli uomini tra i 30 e i 60 anni che avevano subito un attacco di cuore. Coloro che, dopo sette settimane dall’attacco di cuore, erano riusciti a trovare un aspetto positivo da quella brutta avventura – ad esempio che erano maturati come persone – erano anche gli stessi che, ricontattati dopo 8 anni, avevano avuto meno nuovi attacchi di cuore ed erano più felici. Al contrario chi si era lamentato ed era stressato aveva subito più nuovi attacchi di cuore.”

6) Fare dello sport ed esercizio fisico

Molte ricerche hanno dimostrato che chi pratica dello sport ha molti benefici tra cui l’essere meno stressato e depresso.

Lo psichiatra John J. Ratey, nel suo libro “Spark”, riprende alcune ricerche: “Una ricerca olandese del 2006, che aveva come campione 19.288 gemelli, aveva dimostrato che i gemelli che avevano fatto dello sport erano meno ansiosi, meno stressati e più socievoli dei gemelli che non avevano fatto alcun esercizio. Inoltre uno studio finlandese del 1999, che aveva analizzato 3.403 volontari, aveva dimostrato che coloro che si allenavano almeno due o tre volte alla settimana erano meno stressati e ansiosi di coloro che non si allenavano affatto.”

Buona mente e buon vademecum!!

dott.ssa Daniela Tofi
www.psico-life.it danielatofi@hotmail.com

venerdì 6 novembre 2015

INTELLIGENZA EMOTIVA? SAPER ALLENARE LE EMOZIONI

Saper alkenare le emozioni  è  garanzia di successo..più  del percorso scolastico o dei titoli di studio.
Ecco quali abitudini adottano le persone capaci di essere consapevoli dei loro sentimenti. Che sanno come esprimere, gestire, scandagliare e modificare le proprie esperienze, perché sono loro il "centro di controllo"della propria esistenza. Sono i veri leader, conducono una vita completa e autentica . Dovremmo prendere spunto dal loro esempio. Ecco le cose che le persone dotate di intelligenza emotiva NON fanno.

1. Non credono che il loro modo di percepire una situazione rispecchi la realtà.
Vedono le loro emozioni come delle "risposte" ad una data situazione, non come parametri esatti per valutare quello che sta accadendo loro. Accettanno il fatto che la loro reazione potrebbe avere a che fare più con i loro problemi personali, che con la situazione oggettiva in corso.

2. I loro punti di riferimento emotivi sono dentro di loro.
Non vivono le emozioni come se fosse un altro a provarle, come se il problema da risolvere fosse di qualcun altro. Capire che l'origine delle cose che sentono è in loro stessi, li tiene alla larga dal pericolo della passività. Non cadono nell'errore di pensare che "dove l'universo ha sbagliato, l'universo rimedierà".

3. Non presumono di sapere cosa li renderà davvero felici.
Dal momento che collochiamo tutti i nostri punti di riferimento nel passato, non abbiamo alcun mezzo per stabilire, adesso, cosa potrebbe renderci davvero felici invece di sentirci solo dei "sopravvisuti" alle esperienze più dolorose. Le persone dotate di intelligenza emotiva lo capiscono e si aprono ad ogni esperienza verso cui la vita le conduce, sapendo che ogni cosa cela un lato positivo ed uno negativo.

4. Non pensano che avere paura sia un errore.
Piuttosto, essere indifferenti significa avere intrapreso la strada sbagliata. La paura indica che stiamo cercando di raggiungere qualcosa che amiamo, ma che le nostre convinzioni e le ferite del passato ce lo impediscono (o forse sono lì proprio per essere curate, una volta per tutte).

5. Sanno che la felicità è una decisione, ma non sentono il bisogno di prenderla ogni volta.
Non si illudono che la "felicità" sia uno stato di grazia perenne. Si concendono il tempo per esaminare tutto quello che succede loro. Si concedono il lusso di vivere in una condizione di "normalità". In questo stato di "non resistenza", riescono a trovare appagamento.

6. Non lasciano che qualcun altro decida delle loro idee.
Capiscono che, subendo il condizionamento sociale, possono essere influenzate da mentalità, pensieri e idee che non appartengono a loro. Per opporsi a questo, scandagliano le loro convinzioni, riflettono sulla loro origine e stabiliscono se quel quadro di riferimento può fare al caso loro o meno.

7. Riconoscono che un autocontrollo infallibile non è un segnale d'intelligenza emotiva.
Non trattengono i sentimenti, non cercano di mitigarli al punto di farli sparire. Tuttavia, hanno la capacità di trattenere la loro risposta emotiva finché non si trovano in un ambiente più "appropriato", dove poter esprimere ciò che sentono. Non sopprimono l'emotività, la gestiscono.

8. Sanno che un sentimento non li ucciderà.
Hanno raggiunto la forza e la consapevolezza necessarie per sapere che tutte le cose, anche le peggiori, sono passeggere.

9. Non regalano la loro amicizia a chiunque.
Vedono la fiducia e l'intimità come qualcosa da costruire, qualcosa da non condividere con tutti. Non sono circospette o chiuse, ma preferiscono agire con consapevolezza e attenzione quando si tratta di fare entrare qualcuno nella loro vita e nel loro cuore. Sono gentili con tutti, ma si concendono a pochi.

10. Non credono che un singolo sentimento negativo possa dominare il resto della loro vita.
Evitano di arrivare a facili conclusioni, di proiettare un momento presente nel prossimo futuro, credendo che un periodo di negatività possa caratterizzare il resto della loro vita, invece di essere un'esperienza transitoria e isolata. Le persone emotivamente intelligenti accettano i "giorni no". Si permettono di essere umani. In questo modo, trovano la pace.